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STORIA E TRADIZIONI > Personalità
 
19-09-2016
autore: Vanni Feresin
GUGLIELMO WILLY RIAVIS, ARCHITETTO
Il Centro per le Tradizioni ha ricordato nel 2009 la figura e il lavoro di Guglielmo Willy Riavis attraverso la pubblicazione di una monografia nella quale si ripercorre la vita e le opere di un artista e professionista poliedrico. Si è occupato tra il 1963 e il 1965 della progettazione dell’oratorio di San Rocco e della sala cinematografica poi non realizzata.
Guglielmo “Willy” Riaviz nacque il 13 aprile del 1917 a Klagenfurt, terzo di undici figli. Il padre Fiore Riaviz, originario di Tarnova, e la madre Elisabetta (Lisi) Bone di Voghersko (una località nei pressi di Šempeter) si trasferirono in Austria durante il primo conflitto mondiale e vi si trattennero fino al termine della guerra[1]. Ritornati a Gorizia il padre trovò lavoro come tranviere e la famiglia prese il domicilio in via Cipriani[2] (a quel tempo ancora nel territorio della parrocchia di San Rocco) e successivamente in via Duca D’Aosta: Guglielmo resterà legato alla parrocchia e al Borgo di San Rocco per tutta la vita e nel 1965 progetterà il nuovo oratorio su proposta dell’allora parroco don Onofrio Burgnich. Negli anni del fascismo (e precisamente nel 1929) il cognome della famiglia venne cambiato in Riavis e così permarrà ancora ai giorni nostri. Nel 1939 la famiglia fu costretta a prendere residenza in una baracca in via dei Torriani dove trovavano sistemazione molti dei numerosi profughi della Prima Guerra Mondiale. Fin da piccolo Guglielmo rivelò grandi attitudini artistiche (basta osservare l’olio su tavoletta del 1934, dove si notano precisione miniaturistica, un gusto tutto particolare e sapiente per l’unione e l’articolazione dei cromatismi, nonché un’innata capacità nel dare un’aurea di pace e serenità al costrutto, attraverso forme e linee morbide e ben bilanciate), a dimostrazione di ciò si ricorda che, ancora fanciullo, ricevette una medaglia d’oro dal Re d’Italia Vittorio Emanuele III e, a quindici anni, un premio dal Capo del Governo con un quadro del Castello di Gorizia bombardato e distrutto durante la grande guerra[3]. Ottenuto il diploma alla Scuola di Avviamento Professionale (dove conobbe i fratelli Virgilio e Giordano Malni con i quali collaborerà alla realizzazione di numerose opere in città) si iscrisse come privatista al Liceo Artistico di Venezia, dove si diplomò[4]. Nel contempo era stato assunto presso la ditta “Batic” che si occupava di pittura murale e affreschi (un esempio della difficile tecnica pittorica dell’affresco è ancora oggi ben visibile sulla parete esterna della casa di Francesco Silig/Silli, in via Vittorio Veneto, realizzato da Guglielmo Riavis nel 1950 su commissione della moglie dello stesso Silli, in ottemperanza di un ex voto rivolto alla Beata Vergine Maria inerente il ritorno dei due figli vivi dal secondo conflitto mondiale[5]). La sua attività pittorica sarà multiforme e articolata infatti, oltre all’affresco e all’acquerello[6], si interesserà anche alla ritrattistica, soprattutto negli anni giovanili, dimostrando una speciale attitudine nel rendere con pochi tratti la psicologia dei soggetti prescelti, con una peculiare attenzione per il particolare ricercato, un delizioso esempio e il piccolo ritratto in matita eseguito nel 1940, nel quale Riavis sembra voler fermare il tempo, immortalando, in modo fotografico, il viso tranquillo e disteso della bimba in un istante di placida e infinita serenità. Nell’antichissima tradizione di fissare a perenne memoria l’immagine di una persona importante o cara, il ritratto ha continuato a occupare uno spazio di primissimo piano anche dopo la diffusione della fotografia, l’artista si muove per committenza e amicizia ma ciò che più gli interessa è il volto, la personalità che sprigiona ogni creatura; Riavis ricerca l’accuratezza e la riproduzione quanto più possibile fedele dell’identità fisioniomica che esce dalla tela e giunge direttamente all’osservatore. Non si può affatto affermare che il suo lavoro sia stato volto semplicemente a soddisfare il committente, tutt’altro, le sue opere si prefiggono di riprodurre in matita o con i pennelli quel “quid” che esce dallo sguardo di ogni essere umano dipinto.

Dopo l’esame di maturità si immatricolò all’Istituto di Architettura e Urbanistica di Venezia (oggi Facoltà di Architettura) dove si manterrà, anche in questa occasione, lavorando; non frequenterà mai le lezioni ma studierà da privatista, ciò perché le ristrettezze economiche non gli permettevano di risiedere nella città lagunare. Da numerose attestazioni e racconti si evince che il giovane Guglielmo dimostrerà una caparbietà unica nel raggiungere i propri propositi e traguardi, infatti, come narra l’amico fraterno l’arch. Metodio Macuzzi, il giovane Willy raggiungeva Venezia in bicicletta facendo tappa a Bassano del Grappa, dove passava la notte da un amico, e la mattina seguente superava brillantemente gli esami universitari[7]. Anche nel periodo accademico saprà farsi amare ed apprezzare dagli amici e dai compagni di corso per la sua indole bonaria e per la sempre generosa disponibilità caratteristica che lo contraddistinguerà per tutta l’esistenza: l’aneddotica in merito è molta ed è tutta indirizzata nel delinearlo come un uomo competente, colto, corretto e modesto di grande spirito e dalla battuta immediata, amante della musica, dal disegno facile, preciso e rapido, che non si negava mai[8]. Nel 1941 venne chiamato alle armi due anni dopo, nel 1943, in piena guerra, si sposò nella Chiesa di Sant’Andrea con Gabriella Copparoni e subito dopo fu trasferito con la moglie nella caserma militare di Villa Vicentina. Pochi mesi più tardi venne distaccato in Corsica, come ufficiale del Genio, e di lui si perderanno le notizie per due anni e come ricorda la moglie la famiglia pensò anche al peggio[9]. Nel 1945 ritornò a Gorizia ma venne immediatamente inviato a Napoli e poi, a seguito delle truppe alleate come ufficiale dell’esercito italiano, a Moncalieri nelle vicinanze di Torino dove abiterà con la moglie fino alla fine del conflitto. Si laureò nel 1946 e nel 1947 farà definitivamente ritorno nella sua amata Gorizia nella quale risiederà fino alla scomparsa[10].

Dapprima iniziò a lavorare come sorvegliante presso il cantiere dell’impresa dei fratelli Rodolfo, Cirillo e Metodio Macuzzi e successivamente, per conto di esuli istriani, si dedicò all’attività di grafico pubblicitario realizzando etichette per vini, liquori e caramelle di autorevoli aziende presenti nel territorio cittadino come la ditta Comar liquori, le caramelle Ilcea, l’azienda vitivinicola del Collio Rigonat e la Tipografia Campestrini[11]. Grazie a quell’esperienza realizzerà, per conto della Tipografia Sociale Goriziana, per il Comune, per la Pro Loco e per l’Arcidiocesi di Gorizia, manifesti e medaglie. I suoi lavori di maggiore rilievo sono sicuramente i disegni dedicati alla sfilata folkloristica del mese di agosto (il logo dell’iniziativa è ancora oggi quello creato da Riavis ed è una splendida e fresca sintesi del carattere internazionale e di quello spirito di conoscenza e comunanza culturale che è strumento privilegiato di costruzione della convivenza pacifica e la fratellanza tra le nazioni), i cartelloni pubblicitari per la fiera di Sant’Andrea (il simbolo del galletto del tiro a segno fu magnifico simbolo della Fiera, cambiando le date per una trentina d’anni ne ha fatto pubblicità in colori sempre diversi, finché l’usura tipografica non ha consumato in modo irreparabile il linoleum nel quale era inciso; la xilografia era un immagine altamente significativa e di magistrale immediatezza anche se i colori erano solamente tre e all’epoca non c’era nemmeno la possibilità di creare sfumature o di mescolare le tinte), i manifesti della sagra di san Rocco (i due borghigiani che danzano attorno ad una brocca di vino con alle spalle la chiesa parrocchiale di San Rocco restano ancora oggi un segno distintivo della plurisecolare sagra: nella semplicità dei colori blu e rosso si racchiude un significato spontaneo e diretto che è rappresentazione chiara e puntuale dello spirito stesso della festa agostana), nonché quelli per la festa dell’uva e per la Croce Verde. L’opera profusa nel campo della grafica e del design è certamente un segno indelebile e caratteristico di Guglielmo Riavis: l’uso ponderato ed equilibrato dei cromatismi, le strutture significative ed essenziali del rappresentato, le linee, che con terminologia anglosassone si potrebbero definire minimal, il contenuto diretto e incisivo che arriva immediato, senza interposizioni, all’osservatore, nonché l’oggettiva e accattivante gradevolezza del costrutto, sono dei segni distintivi e maturi di un artista a tutto tondo che sa disegnare con efficacia e, al tempo stesso, è in grado di realizzare un prodotto che viene immesso nel mercato, o che rimane in uso per decenni a delle associazioni o a dei privati. Non si può dimenticare, altresì, tutto il lavoro che operò nel campo del volontariato ed è certamente significativa, in questo frangente, l’opera svolta a favore del primo Carnevale Goriziano nel 1956 con la creazione del carro carnascialesco del Borgo di San Rocco.

Oltre a tutte queste importanti attività progettava e allestiva gli stand espositivi per la Fiera dell’Alpe Adria in tutta la Regione ma anche in Austria, nell’ex Jugoslavia (a Zagabria) e a Firenze. Guglielmo Riavis fu anche insegnante al Magistero della Donna (nell’istituto affrescò l’aula magna), successivamente alla scuola media “G.I. Ascoli” e negli anni cinquanta, ottenuta l’abilitazione all’insegnamento a Roma, divenne insegnante di disegno del merletto nell’omonima scuola: fu proprio lui a rinnovare e rivoluzionare il disegno dei classici pizzi d’Idria, introducendo con la moglie Gabriella[12], l’uso del colore nei merletti fino a quel momento bianchi o ecrù. Vincerà, con un disegno realizzato proprio alla scuola merletti, il primo premio alla Biennale Internazionale d’arte di Venezia – Sezione Arti Applicate e Artigianato[13].
Del suo periodo di insegnamento sono da ricordare le gite che organizzava con intelligenza, perizia, attenzione e precisione, realizzando, a mano con la china, dei vademecum tascabili nei quali si potevano trovare le cartine geografiche dei luoghi visitati, gli usi e i costumi locali, un piccolo ed essenziale vocabolario (se la gita si svolgeva in uno stato estero) e alla fine del viaggio questa preziosa miniera di informazioni veniva regalata all’alunno o all’alunna più meritevole, che si fosse particolarmente distinta/o nelle giornate di studio e di svago.
Si dedicherà anche alla complessa arte del design di interni, sia di luoghi sacri che di case private, soprattutto grazie ad un’innata precisione per il dettaglio, chiaramente visibile negli studi approfonditi per la disposizione dei mobili delle sacrestie, per la collocazione corretta e razionale degli oggetti necessari alla liturgia, degli arredi e delle suppellettili sacre, nonché una particolare attenzione, unita a un gusto e a una passione dal carattere antico, per le stoffe e per l’oggettistica sacra che sapeva valorizzare unendola alle necessità del moderno. Un esempio altamente significativo del suo gusto per l’arredo e per il design è certamente rintracciabile nella storica sacrestia del Convento di Sant’Orsola a Gorizia (restaurata in modo lungimirante nella seconda metà degli anni Settanta) nella quale sono, tra l’altro, custoditi i preziosi paramenti “teresiani” (pianete, dalmatiche e piviali), donati ai principi arcivescovi dall’Imperatrice d’Austria Maria Teresa, durante la sua vedovanza e successivamente alla sua morte. Ancora oggi è visibile l’intelligente posizionamento degli armadi secenteschi, dei solenni reliquiari e dell’oggettistica liturgica che dimostrano una peculiare e sapiente conoscenza della storia dell’arte, della ricerca del bello, unito però all’utile e al funzionale. La lungimiranza delle suore Orsoline, e in particolare di sr. Concetta Salvagno, ha permesso di salvaguardare un patrimonio inestimabile della città di Gorizia. Come asseriva la stessa sr. Concetta in un’intervista rilasciata agli autori nell’ottobre 2006 I maggiori lavori della cappella delle Orsoline sono stati eseguiti subito dopo il primo conflitto mondiale in quanto il Convento aveva subito dei danni enormi. Successivamente al terremoto del 1976 ci sono stati ulteriori interventi. Tutto è stato seguito, con grande pazienza e amore per il bello, da quel straordinario professionista che è stato l’arch. Guglielmo Riavis. Si è occupato di ogni particolare, era un perfezionista, rendendo un servizio unico al nostro monastero, ha lavorato qui per numerosi anni, modificando l’interno della chiesa e realizzando, secondo i precetti post Concilio Vaticano II, la nuova mensa, nel 1978, richiamando i fregi marmorei dell’altare maggiore. Durante la prima guerra mondiale, l’antico tabernacolo è stato pesantemente danneggiato da una granata e la parte inferiore è andata distrutta. Il problema era quello di risistemarlo al meglio e l’arch. Riavis ha proposto di ricoprire lo squarcio con lo stesso materiale usato in precedenza e dopo numerose ricerche ha trovato una soluzione mirabile che ridona preziosità e solennità ad un manufatto di così grande pregio. La base della Croce del Cristo, che è andata perduta, è stata sostituita da un rettangolo di bronzo d’orato coperto da pietre dure, solo un occhio allenato può comprendere dove sia avvenuta l’aggiunta. La sacrestia è sempre opera di Riavis, è stato settimane a riflettere su quale poteva essere una sistemazione adeguata e funzionale dei mobili, degli arredi sacri e delle reliquie. Io non ho mai voluto cambiare la disposizione di queste stanze poiché dimostrano un gusto e una sapienza (frutto di una lunga esegesi personale) per l’eleganza, la sobrietà e l’efficienza, alle quali Riavis mirava continuamente. Il tavolo di legno massiccio con le due sedie ai lati estremi sembra prospetticamente contenere l’antico armadio seicentesco che a sua volta custodisce le più preziose pianete ricavate dai numerosi abiti donati dall’Imperatrice Maria Teresa.

Iniziò l’attività di architetto nei primi anni ’50 progettando e realizzando, con gli architetti Giordano Malni (capogruppo) e Laura Cinti Greggio, i primi quartieri INA Casa e IACP[14], nonché, intorno al 1955, partecipando alla grande cordata per la realizzazione della sede centrale della Cassa di Risparmio di Gorizia, angolo Corso Verdi – via Diaz[15]. Questo progetto ricevette il secondo premio dalla commissione giudicatrice, visto che nessun’altra ideazione risultava essere meritevole del primo premio (l’architetto Baresi arrivò solo terzo), ma il prof. Max Fabiani (ormai novantenne ma ancora lucido, consapevole e dalla grande capacità critica e di giudizio) si scagliò in un’invettiva contro il bando di gara, e non contro il progetto vincitore, che partiva da presupposti sbagliati, infatti, dopo aver lodato la felicissima scelta del sito più centrale della città, si rammaricava per due gravi errori il mancato arretramento della linea costruttiva che avrebbe consentito la realizzazione di uno slargo all’inizio di via Diaz e la pretesa richiesta di quella galleria che, oltre a non condurre da nessuna parte, trasformava il palazzo in un bazar commerciale svilendone la simbolizzazione architettonica connessa alla funzione istituzionale di grande banca. Il progetto iniziale fu pertanto stroncato dal grande architetto Goriziano che avrebbe preferito semplicità e caratteristica ad artifici e tortuosità. Dopo queste attente osservazioni e riflessioni la facciata venne completamente modificata in un assetto molto più rigido e severo, rispetto al plastico originario, e verrà, altresì, trovato un posto adeguato anche per il blasone dei Conti della Torre che fondarono nel 1830 il Monte di Pietà di via Carducci, dal quale è discesa la Cassa di Risparmio di Gorizia[16]. A conclusione il palazzo è stato comunque sopraelevato di un paio di piani rispetto le originarie previsioni, pur non arretrando come era stato auspicato anche dal Sindaco dell’epoca.
Il lavoro di Riavis si inserisce pienamente in quel lungo periodo intercorso tra il secondo dopoguerra, passando attraverso il boom economico degli anni Sessanta, per giungere agli anni Ottanta del XX secolo. La città di Gorizia, proprio in quei decenni, divenne centro di un polo terziario e di servizi che includeva, peraltro, anche il nuovo assetto del centro cittadino con un completamento urbanistico che trovava le sue radici già nel Piano Regolatore del Fabiani datato 1921; esso faceva riferimento ad alcune aree libere o sotto utilizzate, incluse tra le formazioni edilizie che si attestano sugli assi stradali della città d’impianto Ottocentesco ed è su ciò che si basavano gli interventi per la realizzazione del Palazzo della SIP, della sede centrale della Cassa di Risparmio, della Banca Cattolica, dell’INPS. Come ricorda, infatti, l’architetto Luisa Codelia in tutte queste costruzioni gli assi stradali rappresentano il riferimento principale, la preesistenza alla quale rapportare i vari corpi edilizi; le connessioni con la struttura insediativa più antica, con il significato e la funzione che i vuoti avevano svolto nel passato, sono cancellati dai nuovi edifici che – allineandosi con le quinte edilizie preesistenti lungo il filo stradale – chiudono gli isolati senza stabilire alcun rapporto con le strutture insediative preesistenti e retrostanti. (…) Con la stessa logica con la quale sono stati concepiti questi edifici pubblici, si costruiscono anche alcune strutture edilizie prevalentemente residenziali di una certa consistenza volumetrica che – completando il tessuto insediativo delle aree centrali e rifacendosi al linguaggio dell’architettura razionalistica – si differenziano, però, dagli interventi di carattere speculativo lungo Corso Verdi e corso Italia realizzati in sostituzione di edifici preesistenti[17]. Certamente il riferimento è al grande quartiere di Sant’Anna, nel quale Riavis troverà residenza e al quale darà un’impronta non certamente secondaria. Il quartiere è strutturato in base ai criteri dell’urbanistica razionalistica: rete viaria articolata secondo un sistema gerarchico e di funzioni differenziate, densità e tipologie edilizie diverse a seconda della maggiore o minore vicinanza ai centri dei servizi, verde e attrezzature per la residenza che si sviluppano lungo percorsi pedonali interni agli isolati. È dà sottolineare inoltre come la realizzazione architettonica del nuovo quartiere offra un panorama molto articolato, non riconducibile ad un indirizzo unitario. Scriveva un cronista cittadino, con una certa acutezza di pensiero, su “Il Piccolo” del 12 marzo del 1969 Sant’Anna: tante e belle case nuove, spazialmente legate da una fitta rete di asfalto, possono, all’occhio superficiale, apparire un complesso autosufficiente, mentre sono appena la necessaria cornice di una comunità in aumento che cerca un volto nuovo, un’anima, nella difficile e spesso intricata rete di rapporti umano – sociali. È al centro di questa singolare opera umana dedicata a Sant’Anna, che da due mesi la ditta “Ars et labor” di Torviscosa sta lavorando per edificare una casa più grande, di proprietà comune, che si chiama chiesa o “luogo di riunione”, insieme alle sale per le opere parrocchiali e alla casa canonica. Le varie tappe fatte dalla comunità, per queste riunioni, dicono come l’uomo cerchi un luogo, tutto suo, dove si senta a casa propria: un negozio, un porticato, una piazza e, ultimamente, l’atrio della Scuola elementare. Per gli abitanti di Sant’Anna questo pellegrinare è normale. Oggi il grande atrio è insufficiente. E la comunità ha deciso di costruire, tra le loro case, la “Casa di Dio e di tutti”. In fondo a via Ristori, dove inizia la strada non asfaltata di via Cipriani, due gru segnano il ritmo dei lavori. Gli alunni della quinta geometri dell’istituto “E. Fermi” hanno iniziato laggiù, in quel cantiere di lavoro, i loro studi pratici. Intanto la comunità, guidata dal comitato legalmente eletto, concorre al finanziamento dell’opera. Ogni mese, un apposito giornalino mette al corrente le famiglie dell’attività che la comunità svolge o si impegnerà a svolgere. Il termine “parrocchia” sta prendendo un volto nuovo: è una “famiglia” dove ognuno è invitato a fare tutto il possibile per i suoi fratelli[18]. Un ulteriore perspicace intervento di appena due anni dopo (20 febbraio 1971), sulla stampa locale, fa comprendere l’interesse generalizzato della città per il neonato rione di Sant’Anna. La vita del villaggio di Sant’Anna prende continuo sviluppo. Il complesso parrocchiale ultimato, recentemente, sarà inaugurato oggi. L’opera – consiste nel tempio, nell’oratorio e nella canonica – realizzata dall’arch. Riavis sorge in posizione centrale rispetto al territorio occupato dalla nuova e già numerosa comunità. La zona, in espansione costante, propone varie esigenze; l’edilizia è un punto cardine. È previsto, infatti, un grande complesso, in via Ristori, con 72 alloggi e la costruzione di 36 appartamenti in via Cipriani e di 48 nel complesso edilizio accanto alla chiesa. Questo per quanto riguarda l’edilizia privata. Per quella pubblica, invece, sono in corso di ultimazione 28 alloggi popolari in via Garzarolli e 81 in via Cipriani. Sempre da parte degli IACP si inizieranno, entro l’anno, e saranno pronti nella prima metà del 1973 altri trenta alloggi. Il tutto per un totale di 155 alloggi che saranno ultimati in breve tempo. Il rione Sant’Anna – che nel contesto della città ha il maggiore sviluppo edilizio – presenta deficienze per quanto, invece, concerne l’edilizia scolastica. Tanto la scuola elementare quanto l’asilo, entrati in funzione solo qualche anno addietro, sono già insufficienti rispetto alla situazione demografica. È pertanto necessario potenziare le attuali strutture ricercando una soluzione definitiva la problema che tenga conto dell’espansione edilizia della zona e dei futuri insediamenti. Anche un campo giochi per i ragazzi del rione rappresenta una necessità[19]. In queste ultime considerazioni generali e ponderate c’è il senso primario e, nello stesso tempo, finale dell’opera di Guglielmo Riavis: l’impegno costante, continuativo e capace finalizzato alla ricerca di linee e spazi ampi ed efficienti, utili all’edificazione di una comunità “in fieri”.
La sua opera architettonica conta circa seicento lavori, che vanno a ricoprire una notevole quantità di interventi: dalla costruzione, al restauro, all’adattamento a nuove esigenze. Collaborò, tra il 1954 e il 1969, prima come membro e poi come presidente della Commissione Edilizia comunale, con i sindaci Ferruccio Bernardis, Luigi Poterzio, Franco Gallarotti, Michele Martina e Antonio Scarano[20]; fu inoltre membro della Commissione Arte Sacra dell’Arcidiocesi di Gorizia, dal 1958 e per i successivi trent’anni, con gli arcivescovi Giovanni Giacinto Ambrosi, Andrea Pangrazio, Pietro Cocolin (dei quali realizzerà lo stemma) e Antonio Vitale Bommarco[21], nonché all’inizio degli anni Settanta divenne componente della Commissione per l’Arte Sacra della Regione Friuli Venezia Giulia[22]. Tra le sue opere architettoniche più significative si devono ricordare: la prima casa multipiano[23] della città (angolo Corso Italia via degli Arcadi), la palestra della Valletta del Corno[24], l’ampliamento e la sistemazione dell’interno del Palazzo Attems Santa Croce, oggi sede del Comune di Gorizia[25], e della Camera di Commercio[26], il restauro del mercato coperto[27], del Palazzo Lenassi[28], dell’Albergo “la Transalpina”, della “Casa del Capitolo” in corte Sant’Ilario, della casa di riposo “Villa Verde” in via della Bona (appartenente alle suore di San Vincenzo) e del Convitto delle suore slovene della “Sacra Famiglia” in via don Bosco; la progettazione del nuovo oratorio della Parrocchia di san Rocco, delle case popolari a Sant’ Andrea, del Palazzo “Isontina Alimentari”, delle case degli esuli istriani in zona Sant’Anna e della stessa Chiesa Parrocchiale di Sant’Anna a Gorizia, della Chiesa Parrocchiale di San Marco Evangelista nel Villaggio del Pescatore[29], della Chiesa Parrocchiale di San Giuseppe Artigiano a Gorizia; la ristrutturazione dell’austro ungarica “Pensione da Sandro”[30] in via santa Chiara Gorizia, della Pensione “Stella Maris”, con l’annessa cappella, a Grado[31] (sobria, funzionale e accogliente la pensione Stella Maris è un esempio mirabile del razionale utilizzo degli spazi e dell’esperienza pluridecennale nel campo del design di interni), della Chiesa Parrocchiale dei SS. Apostoli Pietro e Paolo di Gradisca d’Isonzo, del Presbiterio della Cattedrale di Gorizia, dell’antico presbiterio gotico annesso alla Chiesa Parrocchiale della Beata Vergine Assunta di Farra d’Isonzo e di un Monastero a Cividale[32]; il rifacimento, secondo le nuove norme prodotte dal Concilio Vaticano II, dell’altare della Chiesa Parrocchiale di Giasbana dedicata alla Beata Vergine Ausiliatrice, della Chiesa Parrocchiale di San Floriano[33], della Cappella e della Sacrestia delle Madri Misericordiose Orsoline di Gorizia[34], della Chiesa Parrocchiale di San Dorligo della Valle, del Convento e della Cappella delle Suore della Provvidenza di via Vittorio Veneto, nonché la progettazione di due chiese in Congo. Fu artefice del restauro di numerose antiche ville mitteleuropee in città e provincia: villa de Braunizer, villa De Baguer a Montesanto, villa Caneparo, villa dott. Milocco, villa dott. Zanei, villa Orzan, villa “Mulino” a Farra d’isonzo, villa Ferluga a Cormòns, villa Macuz Ernesto e alcuni interni di Palazzo Coronini – Cromberg. La sua opera è visibile anche nel sud dell’Iran dove realizzò numerose ville tra cui la “White House” inglese ad Ahwaz e il restauro dell’“Hotel Park”, e, insieme alla figlia Milvia e al genero arch. Sirus Fathi, progettò il nuovo ospedale universitario[35].

L’Architetto Guglielmo Riavis venne nominato Cavaliere del Lavoro dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, per gli altissimi meriti acquisiti nel campo dell’architettura, e nel 1985 Papa Giovanni Paolo II lo insignì del titolo di Commendatore dell’Ordine di San Silvestro Papa. Si spense il 10 settembre del 1987[36], dopo una lunga malattia, lasciando alla città di Gorizia l’indelebile segno della sua multiforme e complessa opera che a tutt’oggi necessita una seria, attenta e meditata catalogazione globale. Il settimanale diocesano “Voce Isontina” n° 36 del 19 settembre 1987 scrive nell’articolo di saluto dedicato all’architetto Goriziano: alla riconosciuta capacità artistica e tecnica di Guglielmo Riavis si devono molteplici realizzazioni sia in campo civile che religioso; soprattutto gli è stata riconosciuta una grande umiltà accompagnata da una sensibilità umana e artistica oltre che da una rilevante capacità tecnica.
 


 [1]Cfr. L. MADRIZ MACUZZI, V. FERESIN, Guglielmo “Willy” Riavis, architetto Goriziano, in “Borc San Roc” n° 19, Centro per la Conservazione e la Valorizzazione delle Tradizioni Popolari di Borgo San Rocco, Gorizia, novembre 2007, pag. 39.
[2]IDEM.
[3]L. MADRIZ MACUZZI, V. FERESIN, Guglielmo “Willy” Riavis, architetto Goriziano, in “Borc San Roc” n° 19, op. cit., pag. 39.
[4]IDEM.
[5]Dichiarazione rilasciata agli autori da una componente della famiglia Silli – Bressan nel novembre del 2007.
[6]La sua vera passione pittorica è proprio l’acquerello, la sua produzione, seppur limitata, dimostra una voluttà nitidamente percepibile dall’osservatore che di fronte a quelle tinte tenui e a quell’aurea eterea si perde nei sconfinati orizzonti o nelle piccole cose della vita che l’artista propone.
[7]Dichiarazione rilasciata agli autori dall’architetto Metodio Macuzzi nel giugno del 2008.
[8]L. MADRIZ MACUZZI, V. FERESIN, Guglielmo “Willy” Riavis, architetto Goriziano, in “Borc San Roc” n° 19, op. cit., pp. 39 – 40.
[9]Dichiarazione della signora Gabriella Copparoni rilasciata agli autori nel giugno del 2007.
[10]L. MADRIZ MACUZZI, V. FERESIN, Guglielmo “Willy” Riavis, architetto Goriziano, in “Borc San Roc” n° 19, op. cit., pag. 40.
[11]IDEM.
[12]Dichiarazione rilasciata dalla signora Gabriella Copparoni nel giugno del 2007.
[13]L. MADRIZ MACUZZI, V. FERESIN, Guglielmo “Willy” Riavis, architetto Goriziano, in “Borc San Roc” n° 19, op. cit. pag. 41.
[14]Tra questi edifici spicca il grattacielo a tre bracci che riduce al minimo le pareti in comune tra gli altri appartamenti, lo stesso progetto è stato riutilizzato anche nel villaggio IACP di via Fatebenefratelli.
[15]Nel 1958, come allora si usava per le cose importanti, si fa il concorso di progettazione per la nuova sede della Cassa di Risparmio di Gorizia, vincitore il raggruppamento capitanato da Giordano Malni (assieme a Cinti e Guglielmo Riavis). In un attimo all’angolo tra corso Verdi e la via Diaz cresce quel palazzo con portico e galleria, dove generazioni di goriziani hanno passeggiato e passeggiano. Per maggiore decoro, come allora si usava per le cose importanti, la facciata viene abbellita da una grande opera d’arte, in pietra di Orsena, scolpita dal marianese Mario Sartori, che in quel periodo partecipa con successo alla Quadriennale romana dell’arte. Era il periodo del secondo dopoguerra, della guerra fredda, del boom economico per questa città che si pensava crescere fino ai 70 mila abitanti del Piano regolatore di Picconato: tutti si stava bene, non era difficile trovare lavoro (anzi si studiava a come scansarlo) e si dedicava molto tempo al decoro (niente scuola in jeans), all’immagine (aiuole del corso tutte uguali, roselline erbetta ben rasata), “sei entrato in banca pure tu” cantava il romano… La Cassa di Risparmio, motore dell’economia goriziana di quegli anni, non risparmiava investimenti in campo culturale: pubblicazioni che riguardavano sempre importanti studi locali altrimenti mai diffusi, acquisizione e conservazione di opere d’arte di buoni artisti dell’isontino, commissione a bravi progettisti locali di edifici come la Filiale di Monfalcone o quella di grado. Ma l’immagine della Banca rimaneva sempre quella delle sede centrale: massiccia nella sua pietra, austera nel suo lindo grigiore provinciale, tecnicizzata nel rigido movimento delle facciate a contrasto della doppia curva della Galleria in vetro. Ma soprattutto colpiva il grande senso dell’ordine della Galleria,a volte eccessivo e tale da sfrattare i tavolini del bar per la privacy del bancomat esterno: il pavimento lucido lavato ogni giorno, la manutenzione accurata dei serramenti, vetrine sempre piene di luce, le pareti e la volta sempre ridipinte e, per i progettisti goriziani, la magica sinergia tra il laboratorio di Eliotecnica e il bar Faiti di fronte… D. KUZMIN, Le arti a Gorizia nel Secondo 900, Provincia di Gorizia, op. cit.
[16]Il 18 maggio del 1831 a Gorizia aprì al pubblico il Monte di Pietà e l’annessa Cassa di Risparmio: l’apertura era stata richiesta dalla supplica che Giuseppe Della Torre (Thurn) Hoffer Valsassina aveva inoltrato nell’estate del 1830 all’Imperatore Francesco I d’Austria per ottenere l’approvazione del progetto di rifondazione di un Monte di Pietà e Cassa di Risparmio a Gorizia.
[17]L. CODELLIA, Le arti a Gorizia nel Secondo 900, Provincia di Gorizia, op. cit., pag. 87.
[18]Dove la parrocchia diventa famiglia, Una “Casa di Dio e di tutti” per la comunità di Sant’Anna, in “Il Piccolo”, Gorizia, 12 marzo 1969.
[19]La città allunga le braccia; In progresso sviluppo il rione di Sant’Anna, in “Il Gazzettino”, Gorizia, 20 febbraio 1971.
[20]L. MADRIZ MACUZZI, V. FERESIN, Guglielmo “Willy” Riavis, architetto Goriziano, in “Borc San Roc” n° 19, op. cit. pag. 41.
[21]IDEM.
[22]Crf. AA.VV., Le arti a Gorizia nel Secondo 900, Provincia di Gorizia, op. cit., pag. 99.
[23]IDEM.
[24]IDEM.
[25](…) Quanto realizzato dal Ritter nel Palazzo, viene comunque nel tempo modificato. Subito dopo la prima guerra mondiale, con la direzione lavori dell’ingegnere capo del comune Riccardo Del Neri (1896 – 1964), la facciata sulla strada viene completamente rifatta perdendo (chissà perché) oltre gli scuri del primo piano, anche quella decorazione a fascioni che ne caratterizzava la parte centrale tra le lesene; successivamente con la consulenza dell’architetto Gulglielmo Riavis (1917 – 1987), viene rifatta l’androna d’ingresso con nuovi rivestimenti in aurisina e travertino e la realizzazione di nuovi accessi al vano scala. Vengono pure ridipinti, con nuovi cromatismi gli interni al primo piano, dove dell’originale pavimentazione rimane il parquet della sala Bianca (allora arredata dallo stesso Riavis) a quadretti istoriati con motivi floreali in legno di ciliegio. Una rimanenza di vent’anni fa consiglio la costruzione di una nuova sala Giunta municipale, realizzata al piano terra su progetto dell’arredatore Goriziano Roberto Lucio Cerani (1931 – 2001), autore anche del restauro che nel medesimo periodo ha interessato l’interno del doppio scalone. (…) D. KUZMIN, Breve storia del Palazzo Municipale Attems Santa Croce, poi Torriani, poi Ritter, in Il Palazzo Municipale di Gorizia 1908 – 2008, edizioni della Laguna, dicembre 2008, Mariano del Friuli, pp. 19 -20.
[26]Crf. AA.VV., Le arti a Gorizia nel Secondo 900, Provincia di Gorizia, op. cit., pag. 99.
[27]IDEM.
[28]IDEM.
[29]La chiesa progettata dall’arch. Guglielmo Riavis fu eretta nel 1990 (tre anni dopo la scomparsa dello stesso) con qualche modifica, sotto la direzione del geom. Paolo Crisman, coadiuvato dal p.i. Renzo Zuliani e Piero Celli. La prima pietra fu posta il 12 dicembre del 1989. I dipinti interni sono del triestino Luciano Batoli. Le vetrate, inaugurate il 25 aprile del 1993, sono state disegnate dal praghese Antonio Klouda e realizzate dalla ditta Poliarte di Verona e rappresentano gli stemmi e i patroni delle varie località da dove provengono gli abitanti del Villaggio del Pescatore. La chiesa a navata centrale si presenta nella sua semplicità e linearità di forme e di strutture: accogliente e sobria tratteggia un importante compromesso, ben ponderato, tra le necessità liturgiche e l’intelligenza architettonica, unito però all’eleganza e alla gradevole prevalenza del legno degli archi portanti e dell’utilizzo di colori pastello che rendono l’ambiente caldo e vibrante.
[30]L. MADRIZ MACUZZI, V. FERESIN, Guglielmo “Willy” Riavis, architetto Goriziano, in “Borc San Roc” n° 19, op. cit. pag. 41.
[31]IDEM.
[32]AA. VV., Le arti a Gorizia nel Secondo 900, Provincia di Gorizia, op. cit., pag. 99.
[33]L’approvazione del progetto è datata 11 gennaio 1980.
[34]I lavori di ristrutturazione e restauro conservativo furono eseguiti tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta.
[35]L. MADRIZ MACUZZI, V. FERESIN, Guglielmo “Willy” Riavis, architetto Goriziano, in “Borc San Roc” n° 19, op. cit. pag. 43.
[36]Come risulta dalla stampa locale i funerali vennero presieduti da mons. Luigi Ristiz il 12 settembre del 1987 nella Chiesa Parrocchiale di Sant’Anna che Guglielmo Riavis aveva progettato e realizzato diciotto anni prima.


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