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HOME > Pagine di Storia:IL TRATTATO DI GORIZIA DEL 1752
IL TRATTATO DI GORIZIA DEL 1752
Il patto poneva anche fine ad una serie di irregolarità, evidenziando la linea di demarcazione dei territori, per evitare promiscuità che avrebbero potuto generare contrasti e dissidi.
data di pubblicazione: 01-07-2024
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Immagine: Capitello di Fogliano - 1753 (foto Daniele Tibaldi, archivio ICM Gorizia)

Entro il 1420 Venezia conquistò quasi totalmente il Friuli.
 
Tale politica incontrò l’ostilità asburgica in quanto il Patriarcato di Aquileia, sempre retto da ecclesiastici di area tedesca, divenne appannaggio del patriziato veneto.
 
Non solo. L’erezione di Gradisca, il riattamento della fortezza patriarcale di Marano e delle difese di Udine costituivano un argine alla potenziale espansione austriaca verso l’Italia. A complicare le cose l’ultimo Conte di Gorizia, Leonardo, che lasciò nel tardo ’400 in eredità a Massimiliano d’Asburgo i feudi di Cormons, Belgrado, Codroipo, Castelnuovo e Pordenone.
 
Si venne a creare un confine a macchia di leopardo dove, all’interno del Friuli veneziano insistevano numerosi e vasti territori austriaci. Durante le guerre d’Italia, Venezia, venuta a conoscenza che Massimiliano aveva stretto una alleanza coi Francesi per la spartizione della terraferma veneta, abbandonò la neutralità opponendosi alla richiesta di Massimiliano d’Asburgo di attraversare i domini veneti col pretesto di omaggiare il nuovo papa Giulio II. La guerra non andò bene. Nel 1511 venne perduta Gradisca e successivamente Marano. Una serie di rovesciamenti di alleanze e l’unione delle corone imperiale e spagnola nelle mani del nuovo imperatore Carlo V convinse la Serenissima a scendere a patti.
 
Nel 1521 il Trattato di Worms, seppur nelle intenzioni di stabilire un confine coerente tra le due potenze, confermò lo status quo rendendo ancor più confusa la situazione del Friuli dove erano aumentate le zone austriache in territorio veneto.
 
Fin da subito la situazione fu tesa, specie a causa dei Capitani di Gradisca Nicolò Della Torre e Giacomo d’Attems che non persero mai l’occasione di provocare i vicini veneziani, specie sul fronte del Basso Isonzo sfruttando le antiche rivalità tra le comunità di Fiumicello, sottoposta alla Contea di Gradisca, e quella di Grado, parte del Dogado. La perdita austriaca della fortezza di Marano ad opera di Beltrame Sacchia nel 15423 portò all’erezione del forte di Maranutto e ad una serie di violenze reiterate da parte austriaca verso i vicini veneti finalizzate ad occupare la foce di Sdobba per guadagnare un accesso al mare. Nel 1563 si ricorse ad una terminazione confinaria ma lo stato delle cose non mutò.
 
Nei decenni la situazione rimase la stessa, anche dopo la Guerra di Gradisca combattuta tra il 1614 e il 1617-8. Anzi, si acuì con ripetuti tentativi dei rispettivi sudditi delle due potenze di accaparrarsi pascoli e terre comuni occupando le rive dell’Isonzo.
 
Nel 1635 un ulteriore accomodamento fissò malamente la situazione fino agli anni Quaranta del Settecento quando la reciproca volontà veneziana e austriaca di porre fine a tali diatribe spinse il governo della Dominante, influenzato dai geniali, gli illuministi veneziani, e quello altrettanto illuminato di Maria Teresa, ad accordarsi per la formazione di una commissione per ritracciare i confini friulani. Nel 1750 l’incarico fu affidato a Giovanni Donato per parte veneta e ai plenipotenziari austriaci Corbiniano di Saurau, Luogotenente della Carniola, e Antonio De Fin, amministratore imperiale di Gorizia e Gradisca. La commissione si insediò a Gorizia accompagnata da abili geografi.
 
Nei primi mesi la commissione effettuò diversi sopralluoghi ma i rapporti tra i commissari furono funestati dal clima instauratosi. Se nelle carte di parte austriaca si trova vago accenno a tensioni, queste sono ben rimarcate dai dispacci che il Donato inviava ai Provveditori alla Camera dei Confini.
 
Il Donato rilevava che i due plenipotenziari austriaci non potessero vedersi. Uno concordava col Donato cose che l’altro smentiva. Il Saurau, giurista di formazione, cavilloso allo spasmo era lentissimo ad ogni decisione. Il De Fin, invece, come nella tradizione dei Capitani gradiscani, non era disposto a cedere mai nulla. Il Donato lamentava che non fossero nemmeno plenipotenziari in quanto obbligati ad informare Vienna e di attendere risposta, che non era mai pronta e veloce. I due, infatti, scrivendo separatamente, ricevevano risposte contraddittorie sulle stesse materie. Nel 1751 si era all’impasse.
 
Le rimostranze venete sul piano diplomatico convinsero Maria Teresa a rimpiazzare Saurau e De Fin col Generale Ferdinando Filippo Conte Harrsch, ben disposto all’accomodamento. I lavori accelerarono sensibilmente. Una questione urgente era il confine che dal territorio austriaco della Contea di Gradisca scendeva verso il territorio veneto di Monfalcone e che aveva l’Isonzo come linea di demarcazione. Si convocarono a Gorizia i rappresentanti dei villaggi che sul fiume si affacciavano e ci si accorse di gravi irregolarità. Quando il fiume era in secca non era cosa rara avvenissero sconfinamenti da ambo le parti con pratiche di fienagione foriere di contrasti violenti. Nel tratto tra Villesse e Cassegliano il fiume aveva più volte cambiato corso separando terre austriache e venete che, dall’imbonimento dei tratti rimasti in secca, si erano ritrovate attaccate ai domini opposti col fiume alle spalle. La questione non era di poco conto in quanto, il diritto sulle usucapioni dell’epoca, viziava la fiscalità e l’arruolamento delle cernide delle comunità che vi insistevano. I geografi furono rapidamente inviati a rilevare il tratto di fiume e, informati i commissari, venne redatto quello che passò alla storia, almeno per parte veneta, come il Trattato di Gorizia6.
 
Il trattato poneva fine ad una serie di irregolarità. Il capitolo quarto impediva di porre a coltura il letto del fiume trasformando la linea di demarcazione in terreno agricolo giuridicamente usucapibile. Tale pratica avrebbe portato ad un restringimento del letto del fiume e a questo erano legati il quinto e il sesto capitolo che prevedevano di lasciare le rive del fiume come stabilito dalla commissione. Il settimo stabiliva l’obbligo di mantenere fisse le rive in modo che le comunità non venissero separate dai cambiamenti di corso del fiume dopo le piene causate dalle piogge invernali. Si stabiliva, se questo fosse avvenuto, l’obbligo per le parti riportare le cose alla terminazione confinaria per evitare le promiscuità di cui al capitolo nove.
 
Anche la rosta di Villesse, l’intrico di arbusti della riva, doveva essere preservata finché non si fosse riparata la danneggiata riva di San Pietro attraverso la quale i pastori di Villesse penetravano per pascolare gli armenti. Il governo veneto, infatti, si adoperò per erigere una forte palificata di rinforzo della riva. Vennero posizionati capitelli, pietre confinarie inamovibili allo scopo di fissare la linea di confine. Il Trattato di Gorizia fu ben accolto in quanto dettato da buon senso e razionalità. Poche furono le osservazioni pervenute da Venezia e Vienna venendo ratificato dai rispettivi governi. Il trattato fu poi alla base di un’altra conseguenza. Durante le discussioni sul confine dell’Isonzo non mancarono obiezioni speciose da parte del De Fin che indispettirono non poco i commissari. Fu l’Harrsch, su istigazione del Donato, che ricordò, carte alla mano, quanto il Capitanato di Gradisca avesse rappresentato un elemento turbativo tra le due potenze, ad insistere presso Maria Teresa per sopprimere definitivamente nel 1754 la Contea di Gradisca e ad accorparla nuovamente a quella di Gorizia al cui capitanato fu chiamato proprio Harrsch.
 
 

PER APPROFONDIRE
Dalla produzione editoriale del Centro Tradizioni di Borgo San Rocco
  • Il trattato di Gorizia del 1752, di Cristiano Meneghel
    Tratto da Tratto da BORC SAN ROC N.34 (2022)
    immagini associate
data di pubblicazione: 01-07-2024
Pagine di Storia: CONTRIBUTI SEGNALATI

GORIZIA SENZA FRONTIERE

L'ERA DELL'AUTOBUS

L’AVVENTO DEL TRAM A GORIZIA

E GORIZIA «PRENDE» IL TRENO, 3 OTTOBRE 1860


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