A Gorizia abbiamo la fortuna di trovare ai bordi della città quel che rimane del mondo agricolo che un tempo la circondava, con interessanti tracce di memoria. L’area di campagna più suggestiva si trova a nord, a ridosso del confine con la Slovenia, usuale meta di passeggiate a piedi e in bicicletta di chi vuole svagarsi senza allontanarsi troppo da casa.
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Oggi l’area mantiene la sua connotazione agricola, ma sono in parte mutate sistemazione e ampiezza dei poderi, sono andate perdute molte siepi e fasce boscate, molti filari di vigna o di gelso che segnavano la viabilità campestre ed i confini di proprietà e soprattutto gli alberi da frutto (ciliegi, susini, emoli, albicocche per cui nel passato Gorizia era molto richiesta) e la varietà delle orticole, elementi che caratterizzavano la forma estetica di questo paesaggio. Rimane tra le orticole la più redditizia, la «rosa di Gorizia/ radicchio Canarin», riscoperta e incanalata da una ventina d’anni verso mete di nicchia.
I viottoli campestri sono stati da tempo asfaltati ed è proprio sul limitare della carreggiata che incontriamo gli elementi più significativi di questo paesaggio ricco di tracce storiche: i cippi del pomerio (soprattutto lungo via Etna) e i gelsi, memoria sia delle fabbriche della seta sia dell’utilizzo come albero di confine nelle proprietà rurali, le cui inconfondibili e strane architetture dominano il paesaggio.
La presenza del gelso è ubiquitaria anche se sporadica, sopravvivono esemplari secolari a ricordo dei filari che costeggiavano su ambo i lati le strade che attraversavano la campagna - in particolare lungo la via Cappellaris ed Etna - ma ne sopravvivono anche isolati o a gruppetti dentro le proprietà o ai bordi delle stradine interpoderali. Quelli sommariamente rintracciabili sono un centinaio, con circonferenze che superano i tre e i quattro metri quindi sicuramente secolari e già rientranti per dimensioni nell’elenco regionale degli alberi monumentali tutelati (a Gorizia ci sono solo due gelsi dichiarati monumentali: a San Rocco ed in via Brass).
Una scelta che potrebbe portare ricadute anche sul piano turistico. Morar/murva/gelso, in prevalenza morus alba perché più appetiti dai bachi ma anche morus nigra. Nodosi, corrugati dagli anni, a volte aperti a mostrare il ventre cavo, potati ancora oggi alla vecchia usanza che rendeva il tronco, con l’addomesticamento dei rami, un cilindro panciuto e corto da cui si dipartivano i rami a raggiera. Testimoni maestosi di un paesaggio rurale che sta svanendo.
Dalla produzione editoriale del Centro Tradizioni di Borgo San Rocco |
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