Le bare dei soldati ignoti sfilano per il corso Vittorio Emanuele, ora corso Italia, all’altezza dell’incrocio con via Pitteri (Collezione di Bruno Pascoli)
Era stabilito che venerdì 28 ad Aquileia ci fosse la scelta della salma da parte della signora Bergamas di Gradisca d’Isonzo. Il giorno successivo la partenza del treno- tradotta alla volta di Roma e l’arrivo nella capitale il 2 novembre. L’esposizione della salma era prefissata, fino al giorno successivo, nella basilica castrense di Santa Maria degli Angeli.
Il 4 novembre veniva confermata la cerimonia della tumulazione.
La mattina del 27 ottobre, le 11 bare, dopo aver percorso con un lungo corteo silenzioso la via Mameli ed i due corsi della città fino al piazzale fronte l’ex deposito tranviario, partirono da Gorizia sistemate su cinque autocarri militari. Risuonarono i tocchi delle campane di tutte le chiese e venne esplosa una salva di cannoni dal castello.
Il viaggio verso Aquileia interessò Gradisca, dove vi fu una breve sosta alla presenza di autorità civili, militari e religiose, Romans d’isonzo, Versa, Cervignano e Terzo di Aquileia. Giunte a destinazione le bare furono sistemate allineate fronte all’altare maggiore dell’antica basilica. Il 28 mattina durante una cerimonia solenne, celebrata dal vescovo di Trieste monsignor Bartolomasi, fu chiesto alla gradiscana Maria Bergamas, nata Blasizza, madre dell’irredento Antonio Bergamas, triestino di adozione, ufficiale caduto il 18 giugno del 1916 sul Monte Cimone e dichiarato disperso, di scegliere una della undici bare esposte. Dalla madre spirituale di tutti i caduti senza nome venne indicata la penultima bara (la seconda da destra).
Di seguito, la semplice bara di legno grezzo venne collocata in una ulteriore cassa di legno ornata con simboli militari, e, trasportata su un affusto di cannone, fu collocata su un carro ferroviario particolare, costruito a Trieste su progetto dell’architetto Guido Cirilli.
Le rimanenti bare furono sepolte il 4 novembre nel piccolo cimitero militare retrostante la basilica di Aquileia. Il monumento funebre, in pietra carsica, che orna la tomba comune venne progettato sempre dal Cirilli. L'architetto, allievo di Sacconi il progettista finale del Vittoriano, fu tra il 1918 e il 1924 direttore dell’Ufficio Belle Arti e Monumenti della Venezia Giulia con sede a Trieste. A Gorizia curò il rifacimento del Duomo, il restauro di Sant’ignazio e propose ipotesi di restauro (o meglio di ricostruzione) del castello.
Il 29 ottobre il treno speciale partì da Aquileia alla volta di Udine. Iniziava così un viaggio che coinvolse l’intera nazione. Da Udine a Venezia, a Bologna, a Firenze, a Arezzo fino a Roma, nelle centoventi soste, nelle stazioni e lungo il percorso, la partecipazione popolare fu enorme. Cerimonie funebri, riti religiosi, omaggi floreali si succedettero in continuazione favoriti dal lentissimo incedere del convoglio ferroviario.
Si era creato spontaneamente un rito di cordoglio nazional-popolare che superava le differenziazioni politiche che avevano agitato fino a quel momento la vita civile e lavorativa dell’Italia. A Roma, il 2 novembre, il feretro del Milite Ignoto fu trasferito nella basilica, prospiciente la piazza Esedra, di Santa Maria degli Angeli, che per l’enorme affluenza di persone rimase aperta ininterrottamente fino la prima mattina del 4 novembre.
In quei giorni tutta la penisola vide innumerevoli cerimonie civili e religiose in memoria di caduti durante la Grande Guerra. La mattina del venerdì 4 novembre Roma era invasa da persone che volevano assistere alla cerimonia della tumulazione. Ovviamente un gran numero di militari ed ex combattenti, politici, autorità civili ma non solo, anche semplici cittadini, uomini e donne, cercarono di assistere alla tumulazione prevista sul fronte principale del Vittoriano ai piedi della statua denominata «Dea Roma» proprio al di sotto della statua equestre di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia indicato anche come Padre della Patria.
Il cerimoniale prevedeva una rigida e preordinata disposizione sia sul Vittoriano che nella piazza Venezia. Il re Vittorio Emanule III, accompagnato dalla regina madre alla quale si affiancò la Regina Elena, si dispose sulla destra del loculo che avrebbe ospitato la bara. Tutt’attorno, rappresentanti del casato Savoia, il Governo, le più alte cariche militari e il corpo diplomatico accreditato. Il corteo che accompagnava la bara mosse da piazza Esedra alle 9 precise e percorse via Nazionale. Lo seguivano più di settecento tra bandiere reggimentali, labari militari e gonfaloni decorati al Valor Militare.
Dopo mezz’ora al suono delle campane del Campidoglio e delle chiese di Roma, accompagnato da continue salve di cannone, il corteo giunse in piazza Venezia. Dalla piazza alla pietra tombale, predisposta nel basamento della «Dea Roma», la bara fu trasportata a braccia da decorati con medaglia d’oro al Valor Militare. Alla stessa ora ad Aquileia si svolgeva una solenne cerimonia per la sepoltura delle dieci salme rimaste nella basilica. In tutta Italia, pressoché in contemporanea e anche il giorno dopo, si celebrarono riti, cerimonie e manifestazioni popolari in memoria di tutti i caduti ed in onore del Milite Ignoto.
Bisogna riconoscere che il risultato andò ben oltre le volontà e gli obiettivi di chi, in particolare gli organismi militari e politici, aveva ideato e fatto attuare il preciso cerimoniale di tutta la commemorazione che di fatto si tramutò in una unitaria e collettiva espressione patriottica, nel contempo laica e religiosa, che riuscì a solidificare nel segno del lutto nazionale l’unità d’Italia. Il Vittoriano divenne, nell’espressione comune, l’Altare della Patria e quello che seguì alle onoranze al Milite Ignoto purtroppo perse i connotati della spontaneità per divenire oggetto di una pesante retorica da parte di varie espressioni politiche, tra le quali di lì a poco prevalse quella del regime che per un ventennio caratterizzò la vita degli italiani.
Dalla produzione editoriale del Centro Tradizioni di Borgo San Rocco |
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