Scene di una giornata di caccia, dal ciclo di affreschi della sala trecentesca di Palazzo Lantieri
[…] in tutti i territori che appartennero all’Impero Romano, non vigevano leggi sulla caccia, né vi erano periodi dell’anno in cui essa era vietata. Il diritto ad esercitare la caccia non era legato al possesso di beni terrieri. I patrizi ed i notabili non possedevano alcun «privilegio di caccia». Questo non era stabilito su base personale, temporale o spaziale e la «zona di caccia» poteva essere di chiunque e di nessuno; la selvaggina era «res nullius». Ciononostante, l'arte venatoria era tenuta nel massimo onore e reputata maestra di forza, di ardimento e di valore.
Si poteva esercitare la cosiddetta «grande caccia», in cui la pericolosità di certi animali imponeva la presenza di folti gruppi di cacciatori ben armati e muniti, oppure la cosiddetta « piccola caccia» che comportava consuetudini venatorie assai varie.
Venendo alla Contea di Gorizia, ben sappiamo che presso quei Conti - Sovrani l'audacia nelle imprese guerresche e venatorie era tenuta in grande considerazione. Tornei e partite di caccia, con impiego di cani e falchi, non solo erano assai frequenti, ma anche protetti da un'antica legge longobarda che stabiliva che «non si potesse dare in pegno né sequestrare gli sparvieri, i coltelli e la spada di un gentiluomo». La caccia fu quindi lo «sport» preferito dai nobili della Contea, sport in cui essi vi spiegavano tutta la loro abilità. In realtà, più che di sport si trattava di un vero e proprio rito facente parte del loro costume guerriero.
Accanto alle spedizioni a cavallo, organizzate per la caccia ai più grossi animali, vi era anche la più elegante caccia con il falcone. Il rapace veniva educato a posare sull'avambraccio del cacciatore e, al fine di preservarne l 'equilibrio nervoso nell'attesa di lanciarlo sulla preda, lo si teneva con la testa in cappucciata, in modo che non potesse vedere la luce. Un falco ben addestrato costituiva il più bel dono che si potesse fare ad un nobile.
Anche durante il periodo della decadenza del potere comitale goriziano, quando il conte Leonardo trasferì la sua residenza a Lienz nel Tirolo ed affidò l'amministrazione della Contea ai suoi funzionari, non si affievolì affatto l'interesse per la caccia nel nostro territorio. Una pergamena dell'anno 1461 contenente un breve scritto in lingua tedesca del conte Leonardo ci conferma che questi aveva costantemente a cuore l'attività dei suoi guardacaccia goriziani.
Dalla produzione editoriale del Centro Tradizioni di Borgo San Rocco |
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