Il 23 febbraio 2011 la parrocchia di San Rocco ha potuto parlare nuovamente della sua plurisecolare storia. Infatti, quel giorno ha segnato la fine del lavoro di schedatura, ricostruzione delle serie e l’inventariazione degli archivi della Chiesa Parrocchiale, della Corale e del Centro per la conservazione e la valorizzazione di Borgo San Rocco, iniziato nell’ottobre del 2009. Proprio nel giorno della presentazione ufficiale, patrocinata dalla parrocchia, dal Centro per le tradizioni e dall’Istituto di Storia Sociale e Religiosa di Gorizia, è sorta l’idea di realizzare un articolo sulle carte più antiche ben conservate presso l’Archivio Storico Provinciale, tendendo conto degli studi precedentemente realizzati e preferendo un taglio storico – diplomatico (cioè di analisi della struttura documentaria).
Questi preziosi documenti (marca 536a, 543, 582, 900a, 923a, 931a, 943a) ci tramandano una storia antica, molto complessa e ricca di usanze e costumi quasi del tutto scomparsi. Sono testimonianze scritte, più volte analizzate nei lustri da storici del calibro di Carlo de Morelli, Ranieri Mario Cossàr, Sergio Tavano, Luciano Spangher, Mario Chiesa, Mauro Ungaro (autore della monografia “Sotto la torre 1497 – 1997: 500 anni della chiesa di San Rocco”), Liliana Mlakar Turel e Guido Bisiani, ma alcune di esse sono ancora oggi inedite.
La straordinaria importanza della conservazione di carte così antiche è collegata al fatto che il Borgo di San Rocco, tra la fine del XV e la metà del XVII secolo, non era altro che il centro di una piccola comunità suburbana raccolta intorno alla cappella dedicata al Santo di Montpellier, fondata nel 1497.
Come nota il Cossàr a pagina 105 nel suo poderoso volume “Gorizia d’altri tempi” del 1934: “l’agreste Borgo San Rocco, sorgente meno inquinata per lo studio delle vecchie costumanze goriziane, festeggiava la sua sagra la domenica susseguente il giorno del Santo tutelare, cioè dopo il sedici agosto. E giacché abbiamo accennato alla sagra, mediante la quale si usava ricordare l’anniversario della consacrazione della chiesa, merita riportare il documento inedito con cui veniva concessa la licenza di poter fabbricare quella chiesa nell’anno 1497”. E a questo punto la pagina si chiude con la traduzione in italiano della risoluzione di Sebastiano Nascimbene, Vicario Generale del Patriarca, di erigere la cappella di San Rocco, datata 19 settembre 1497 e a firma Giovanni Monticolano cancelliere. Questa pergamena fondativa verrà pubblicata nuovamente nel 1948, dallo stesso Cossàr, in “Storia dell’arte e dell’artigianato a Gorizia” (pp. 27 ss.), ma questa volta la trascrizione sarà nell’originale lingua latina. Il diploma non è custodito nell’Archivio Storico Provinciale ma, come sottolinea Ungaro, a pagina 158 (nota 9) della sua opera monografica, “il documento pergamenaceo fu acquistato nel 1912 essendo stato sino ad allora di proprietà del pittore accademico Lodovico Seculin”.
Ora veniamo al primo privilegio patriarcale, datato 11 agosto 1498 e pesantemente danneggiato nel lato destro, nel quale vengono concessi centoquaranta giorni di indulgenza a quanti avrebbero visitato la chiesa di San Rocco, veramente pentiti e confessati, nelle feste della Beata Vergine Maria e di San Rocco, nella Natività di Nostro Signore, nel Giovedì e Venerdì Santi. (…) “ut ex inde reddantur divine (ill.) igitur ut ecclesia Sancti Rochi in subturri contrata Goritiae nostre aquieleiensis diocesis Congruis frequent. (…) Omnibus vere penitentibus et confessis qui ecclesiam predictam Beate Virginis, Natalis et cene Dominij ac passionis eius. Necnon sancti Rochi predicti festivitatibus atque diebus a primis vesperis usque ad secundas vesperas inclusis visitaverint annuatim” il documento patriarcale si chiude con la corroboratio che prevede l’apposizione del sigillo “consueti sigilli apponsione muneri” e con la datatio topica e cronica, “Datum in civitate Austriae apud Sanctum Franciscum die undecim augusti millesimo quadrigentesimo nonagesimo octavo, pontificatus santissimi in Christo patris et dominus nostri dominus Alexandri Divina providentia pape sexti, Anno sexto”.
Anche se di periodo molto tardo la pergamena presenta alcune tipicità di un privilegio patriarcale aquileiese con influssi di cancelleria pontificia: Domenico Grimani si presenta con la formula di umiltà “miseratione divina” (mutata dalla più tradizionale “dei gratia”), nell’intitulatio viene definito “Aquileiensis Patriarca”, l’inscriptio si riferisce proprio agli “universi et singulis Christi fidelibus ad quos nostre pervenerint”, la salutatio è simile a quella papale “Salutem in Domino”, è presente una sorta di arenga, cioè i motivi evangelici che hanno spinto alla produzione dell’indulgenza, seguita dalla dispositio con i verbi propri; nell’ultima parte della pergamena si trova la formula di perpetuità “perpetuo duraturus” e il documento si chiude con la corroboratio, nella quale si ricorda l’impressione sigillare, e la datatio; da notare che Grimani non appone la firma autografa in quanto proprio il sigillo è certezza della iussiu patriarcale. Un ulteriore particolarità è la presenza della parola “contrata” (VI riga parola VIII) che rimanda alle formule dei documenti triestini che utilizzano sempre il concetto proprio di contrada per indicare una via, piuttosto che un quartiere.
Il patriarca Domenico Grimani fu elevato alla porpora cardinalizia da papa Alessandro VI Borgia nel 1493, e Carlo de Morelli nella sua “Istoria della Contea di Gorizia” a pagina 82 riferisce che “avvenuta il giorno 3 settembre 1497 la morte di Nicolò Donato Grimani, si passava tosto alla nomina del suo successore Domenico cardinale Grimani, che da papa Alessandro VI veniva confermata il dì 13 febbraio 1498; fu perciò la vacanza brevissima, ma con tutto ciò si conserva presso di noi memoria di essa, per essere stata appunto nel tempo di tale vacanza fatta la concessione per erigere la chiesa nel luogo suburbano di s. Rocco (…)”. Ma il de Morelli sostiene anche che i Grimani, oltre che governare sulla sede patriarcale per buona parte del XV secolo, non furono esempio di limpidezza in quanto colpevoli di “cupidigia di dominio temporale”; a difesa loro scende Giandomenico Della Bona che precisa “tale desiderio è naturale, e lo avrebbe avuto come ci sembra, chiunque altro si fosse trovato nella loro posizione. Ostavano solamente riguardi più alti, per poter concedere ciò che ad essi era stato loro aggiudicato. Si considerava, che erano patrizi veneti, e il governo austriaco non sapeva scostarsi dall’idea di riguardarli come incaricati, i quali agivano sotto mano nell’interesse, non del patriarcato ma della repubblica”. Domenico Grimani rinunciò al titolo patriarcale nel 1517 e gli successe il nipote Marino.
Come non essere d’accordo con Mauro Ungaro quando riferisce (pp. 8 ss.) che l’indulgenza patriarcale del 1498 “(…) dovette rappresentare un notevole incentivo per il completamento dell’opera anche perché alla visita necessaria per lucrare l’indulgenza si accompagnava, inevitabilmente, un’offerta in denaro. Non dobbiamo sorprenderci o scandalizzarci per tale realtà visto che non c’è quasi chiesa del tempo la cui edificazione non sia stata resa possibile o almeno facilitata dalle entrate ottenute grazie alle indulgenze concesse in occasione della sua costruzione o restauro”. E così avvenne. Sempre Carlo de Morelli, nella sua “Istoria della Contea di Gorizia” del 1856 (IV volume, capitolo V, pagina 85), per primo annotava con grande precisione che “nel 1500 veniva consacrato la domenica penultima di agosto da Pietro Carlo Vescovo di Caorle vicario del Patriarca Domenico Grimani, l’altare maggiore della chiesa di S. Rocco presso Gorizia”, a conclusione di questo giorno memorabile per l’antico Borgo ci fu una festa da ballo.
La pergamena in questione si presenta in ottime condizioni anche se in alcuni punti l’inchiostro cede alle piegature. La struttura ibrida, rimanda alla diplomatica di un documento di impronta patriarcale con chiari riferimenti alla struttura documentaria pontificia. Si notano le parole “villa de subturre” e non più “contrata”, la presenza di un sigillo pendente perfettamente conservato, l’assenza della firma autografa del vescovo di Caorle e una cosa molto singolare sono le parole “dominica poenultima” (riga XIV in fondo), quasi che lo scriptor non avesse avuto la certezza del giorno nel quale avvenne la consacrazione dell’altare maggiore dedicato ai Ss. Sebastiano e Rocco confessore e dei due altari laterali, quello di destra dedicato a Lucia, Apollonia e Barbara e quello di sinistra ai Ss. Giacomo e Cristoforo martire (ciò è possibile in quanto il documento fa memoria di un fatto avvenuto in precedenza). Facendo gli opportuni controlli cronologici si può desumere con assoluta certezza che la penultima domenica di agosto del 1500 sia corrispondente al 23 agosto, data che ricomparirà anche nella pergamena del 1637. Il documento si chiede con un sigillo pendente ancora molto ben conservato.
Sotto il patriarcato di Marino Grimani si riscontra anche il documento del 12 aprile 1518, detto del “juxta ritum” a firma di Daniele de Rubeis, vescovo di Caorle e vicario di Grimani. Questo atto fa immaginare (si deve restare nell’ordine delle ipotesi in quanto al momento non ci sono documentazioni che diano risposte certe sulla vicenda) che sia avvenuta, probabilmente, una morte violenta all’interno della cappella o, in ogni caso, un fatto d’arme che abbia costretto alla riconsacrazione del tempio; non si può d’altra parte escludere un suicidio o la sepoltura di un infedele o di uno scomunicato, il cancelliere scrive “infidelium inquinatam emundavimus” e l’“edificijo” dovrà essere “debite reparetur”. La pergamena, con problemi di conservazione per quanto concerne l’inchiostro (spesso sbiadito), presenta le caratteristiche di un atto solenne: il nome del vescovo di Caorle e in lettere allungate, anche se vicario di Grimani si rivolge con l’inscriptio patriarcale “universi et singulis Christifidelibus tam presentibus quam futuris”, viene specificato che la chiesa sarà riconsacrata con il “modum et formam Sanctae Romanae Ecclesiae” e si aggiunge che il rito dovrà essere “solemniter”, la datatio è anche solenne si indica l’anno del Pontificato di Papa Leone X de Medici, a chiusura si fa menzione della iussio patriarcale e si specifica che verrà apposto un sigillo (tuttora esistente ma solo parzialmente conservato), non c’è firma autografa di Daniele de Rubeis.
Del 27 giugno 1602 è la bergamina del Patriarca di Aquileia Francesco Barbaro istitutiva della confraternita di San Rocco. Particolarità molto significative del documento sono la firma autografa del Patriarca (un’eccezione rispetto agli usi tradizionali della cancelleria patriarcale) e l’uso dell’italiano anziché del latino, per farsi meglio comprendere dai fedeli (la lingua latina è usata nelle disposizioni iniziali, l’italiano per le regole dei confratelli). Oltre alle norme di nomina del “Cameraro” che doveva essere eletto ogni anno il giorno di San Rocco, a quelle proprie di comportamento e di linguaggio “Che nessuno delli fratelli quando saran congregati a far il Cameraro habbi ardimento a dir parole disoneste, ne biastemare biastema alcuna sotto pena di sol. 20 per cadauna volta” e ai precetti di carattere amministrativo “Che il cameraro non possi alienare alcun bene stabile senza saputa del consesso, et licenza nostra, o del vicario nostro”, nel suddetto documento sono rintracciabili anche prescrizioni squisitamente religiose come il confessarsi e comunicarsi ogni anno a Natale, a Pasqua, a Pentecoste e alla festività di S. Rocco. Ma la regola che più colpisce è l’ultima e riguarda propriamente il giorno della festa “Che il giorno edetto di San Roccho non si debba ballare, ne fare alcuna festa temporale, ma sibene star in devozione, come si conviene a buoni cristiani”. Con queste parole si può desumere che la festa da ballo (quella che oggi si definisce sagra), legata al santo di Montpellier, fosse già ben radicata nel borgo goriziano, ma, come indica chiaramente il documento patriarcale, il giorno di san Rocco doveva essere dedicato totalmente alla spiritualità mentre i giorni a seguire erano destinati ai festeggiamenti.
Papa Urbano VIII riconobbe ufficialmente la confraternita il 17 luglio 1627. Il documento in lingua latina, perfettamente conservatosi, concede ai fedeli speciali indulgenze e privilegi: “(…) l’indulgenza plenaria a tutti i fedeli di Cristo di entrambi i sessi che entreranno a far parte di detta comunità, dal primo giorno della loro entrata, se saranno veramente pentiti e confessi e avranno preso il sommo Sacramento dell’Eucaristia; e parimenti anche concediamo anche l’indulgenza plenaria ai confratelli e alle consorelle che siano iscritti o si iscriveranno alla medesima comunità, in qualsivoglia momento avvenga la loro morte, purché pentiti e confessati e ricreati dalla Santa Comunione o, se pur desiderando farlo, non ne avranno avuto la possibilità”. Il documento pergamenaceo è privo di bolla in piombo ma la struttura diplomatica è tipica proprio della “Bolla pontificia”: il contenuto riguarda la concessione di privilegi propri, il nome del pontefice è in caratteri allungati come nei privilegi solenni e anziché la salutatio trova posto la tipica formula di perpetuità “Ad perpetuam rei memoriam”; la datatio è quella simplex come nelle lettere ed è di mano dello scriptor, il datum topico con l’indicazione del luogo “apud Sanctam Mariam Maiorem” e quello cronico con il giorno mese e anno; non c’è la sottoscrizione autografa ma l’indicazione dell’apposizione del sigillo “sub anulus piscatoris” e come previsto dalla struttura della bolla non c’è l’apprecatio finale del “Bene valete” o dell’“Amen”.
Dopo la grande peste del 1623 i goriziani, in segno di ringraziamento per essere sfuggiti dal terribile morbo che aveva decimato l’Europa, fecero restaurare e ampliare la piccola cappella primitiva dedicata ai Ss. Sebastiano e Rocco e promisero di farvi visita ogni 16 agosto. Quattordici anni più tardi, Il 23 agosto del 1637, il Vescovo di Trieste Pompeo Coronini consacrava l’altare maggiore della chiesa.
Pompeo Coronini, barone di Prebacina e Gradiscuta, era figlio di Orfeo e Caterina nata Ellocher. Ottenne il dottorato in filosofia, teologia e “utriusque iuris” all’Università di Bologna nel 1607. Venne eletto alla sede episcopale di Pedena nel 1625 e promosso alla cattedra di San Giusto nel 1632. Come sottolinea Ungaro (pagina 159, nota 34) “la presenza del Coronini a San Rocco si inserisce nel quadro dei difficili rapporti esistenti fra la corte austriaca e la Repubblica di Venezia. Una disposizione pontificia aveva subordinato gli Arcidiaconati di Gorizia al Nunzio Apostolico a Vienna ma quest’ultimo soleva delegare l’esercizio della giurisdizione spirituale nella parte austriaca del patriarcato aquileiese ai vescovi di Trieste e Pedena”.
Il documento in questione, datato 20 novembre 1637, dà testimonianza della consacrazione del nuovo altare maggiore marmoreo, dedicato a San Rocco (includendo nella pietra d’altare le reliquie dei Ss. Andrea, Cristoforo e Giusto), avvenuta la quarta domenica del mese di agosto e dodicesima dalla Pentecoste. La pergamena non ha segni estrinseci di solennità, trattandosi in quanto tale di un semplice atto di conferma di avventa consacrazione: si notano in apertura la formula di umiltà in una versione secentesca “Dei et Apostolica Sedis gratia”, l’inscriptio “Christi fidelibus” che comprende anche i verbi dispositivi “fidem fecimus et attestamus”e una lunga datatio contenente anche l’arenga con le motivazioni spirituali “die XXIII Augusti quae incidit in domenica III. Eiusdelm mensis XII post Pentecostem Spriritus Sancti ispiranti gratia adibilatis ritibus Sacr: Rom: ecclesia in Templum S. Rochi Goritia Diocesi Patriarcatus Aquileiensis”. Il Coronini, tra l’altro, concesse ai visitatori della chiesa nell’anniversario della consacrazione un anno di indulgenza “(…) utriusque sexus fidelibus ea die presentibus unum annum et quotanis in anniversaria consacrationis die quadraginta dies de vera indulgentia (…)”.
Una questione rilevante, che sottolineo, riguarda proprio la data stessa delle due dedicazioni: domenica 23 agosto 1500 e 1637. Se si considera che il giorno 16 agosto (memoria di San Rocco) in entrambi quegli anni cadeva di domenica la domanda che ci si pone è perché aver scelto di posticipare di una settimana i due grandi avvenimenti. La risposta si ha verificando, su alcuni manuali di cronologia, che sia nel 1500 che nel 1637 la domenica 16 agosto era dedicata alla memoria di San Gioacchino (padre della Madonna) e pertanto la festa del confessore Rocco doveva essere obbligatoriamente posticipata di una settimana. Solamente con il rinnovamento del calendario liturgico del 1961 si riunì, nel giorno 26 luglio, San Gioacchino a sua moglie Anna lasciando definitivamente la memoria di San Rocco il giorno 16 agosto. Da queste considerazioni si può comprendere che il 23 agosto, in quegli anni, era a tutti gli effetti il giorno dedicato al santo di Montpellier e si può anche ritenere che la cosiddetta “sagra agostana”, da sempre collegata alle cerimonie sacre, abbia avuto il suo inizio proprio nel 1500.
L’ultimo documento che si va a commentare è collegato alla questione del passaggio della Chiesa di San Rocco ai Carmelitani Scalzi avvenuta tra il 1648 e il 1652.
La pergamena autografa del Patriarca di Aquileia Marco Gradenigo è datata 10 aprile 1652. Si tratta della ratifica patriarcale all’accordo intercorso tra gli stessi carmelitani e l’Arcidiacono di Gorizia Giacomo Crisai. Il documento ha le caratteristiche della concessione solenne (in antico privilegio solenne): infatti dopo l’intitulatio patriarcale e la formula di umiltà “Marcus Gradonico divina miseratione Patriarcha Aquileiense” il presule saluta in modo molto aulico i frati della Castagnavizza “Dilectis nobis in Cristo Reverendis Fratribus Religiosis seu Ordinis Carmelitarum Discalceator Reformator degentibus in Conventi ecclesiae Beatae Mariae Virginis Herimi nuncupatis della Castagnavizza supra Goritiam nostrae Aquileiensis Diocesis Salutem in Domino sempiternam, feliciter”, e continua con l’augurio di successo nelle opere di Dio “in Dei opere, successus”. Marco Gradenigo a questo punto procede alla conferma della cessione e della consegna della Chiesa, chiestagli ufficialmente dal suo Vicario in Udine, Nicolò della Croce. La disposititio è solenne e contiene oltre ai verbi tradizionali anche la memoria dell’instrumento concessorio del notaio Battista Faidutti del 16 gennaio 1651: “in perpetum dederit et concederit Venerandam Ecclesiam Sancti Rochi sitam in dicta Civitate Goriziae filialem Ecclesiae Parochialis Ss. Hillary et Tiziani modis, formis et causis quae in instrumento sub die 16 mensis januarij de anno 1651 manu Reverendo Bapte Faidutti Goritiensis pubblici Imperialis Notariy, confecto (…)”. L’ultima parte della pergamena racchiude il giuramento del vicario patriarcale Nicola della Croce che promette per i frati l’obbedienza al Romano Pontefice, alla Sede Apostolica, al Patriarca e ai loro successori sotto la pena della scomunica “omnes Ortodoxae Pii Papae quarti” cioè con l’esplicito riferimento alla Bolla sull’ortodossia cattolica di Papa Pio IV. La datatio topica e cronica è anche solenne, si fa riferimento al giorno di mercoledì 10 di aprile e si precisa con l’anno del pontificato di papa Innocenzo X:“Datum Utini in nostro Patriarcali Palatio, anno Domini 1652, die mircury, decima mensis Aprilis, Pontificatus Sanctissimi Domini Nostri Innocenzij Papae decimi, anno Octavo”.
Vista la generale solennità oltre al sigillo pendente il patriarca appone anche la sua firma autografa, insieme a quella del cancelliere patriarcale Pietro Olina; l’Arcidiacono di Gorizia firma con il titolo di Protonotario Apostolico e Parroco di Gorizia e Salcano, i testimoni o testi presenti, che hanno la sola funzione di solennizzare l’atto, sono Giulio Puteo canonico aquileiese e Giovanni Scrosoppi, entrambi familiari del patriarca.
Vanni Feresin