Reidratate la aringa salata/affumicata nel latte per una notte e cucinatela a piacimento o consumatela ‘natur’, cruda, con dell’ardièlùt / matavilc (valeriana olitoria)
Secondo la tradizione imposta dal Concilio di Trento (1545-1563) la Feria Quarta Cinerum, cioè del Mercoledì delle Ceneri, segna l’inizio del periodo della ‘astensione dalle carni’ e, per i friulani, della stagione della renga, l’aringa in friulano, secondo il detto popolare.
Pe Cinise si mangje la renghe – ‘alle Ceneri si mangia l’aringa’. Valenino Ostermann a fine 800 in “Vita in Friuli” raccontava: Il primo giorno di quaresima le famiglie usano mangiare la minestra di fagioli o di lenticchie, e nel pomeriggio si costuma andare nelle osterie di campagna a mangiare il baccalà, le aringhe, o le sardelle col radicchio.
Attualmente come aringhe si usano sia quelle sotto sale, conservate in barili di legno e forse oggi più difficili da trovare, sia quelle affumicate dal colore o dorato o argenteo.
Leggende tramandate parlano di tempi di grande povertà in Friuli dove la polenta veniva condita solo strusciando l’unica aringa affumicata appesa al centro della tavola per tutta la famiglia.
L’aringa, in Friulano, viene chiamata renghe o cospetòn (femmina e maschio dell’aringa). Un tipico detto da Osteria era A la zovine un biel bocòn, a la vecje un cospetòn11. Il termine ‘cospetòn’ però genera confusione perché in friulano indica anche le sardelle sotto sale.
Qualcuno mangia le aringhe così come sono, non cotte, con cipolla cruda, altri le fanno saltare invece in padella con un po’ d’olio e aglio. Altri le cucinano sotto la cenere del camino, avvolte in carta oleata con olio, fettine di cipolla e pepe. Lella Au Fiore12 ricordava che tipica di Gorizia era la frittata, frataia ‘ta la renga, e la sevolada cu lis rènghis, la cipollata con le aringhe, una sorta di savôr servito caldo, realizzato facendo stufare lentamente in olio delle cipolle affettate con alla fine una spruzzata di aceto e messe a copertura a delle aringhe cotte in olio.
A Gorizia un tempo c’era il rito di mangiare renghe e rati: un abbinamento curioso e quasi dimenticato. Il rati, o ramolaccio, è un tubero dalla scorza nera e dal sapore intenso e piccante che, crudo grattugiato o cotto, ben si abbina con l’aringa affumicata13. Il suo sapore ricorda quello del ravanello ma è molto più carico e piccante, tanto che per indicare una persona stizzosa, irosa e ‘ruvida’ ci si riferisce in friulano a questo ortaggio: ‘jessi un rati’, che sarebbe come dire ...’essere un ramolaccio’!