Liptauer dell’Antica Osteria Al Sabotino di Gorizia
Si impiegano gorgonzola piccante, mascarpone e ricotta fresca in quantità uguali. I formaggi vanno setacciati e montati con le fruste elettriche. Si aggiungono quindi un trito di cetriolini sottaceto e qualche acciuga sott’olio tritata o della pasta d’acciughe, una punta di senape, paprica dolce per dare colore e un po’ di paprica piccante per dare forza. Si mescola bene, si fa riposare in frigorifero e si serve nei piatti a palle realizzate con un porzionatore per gelati. Si spolvera di paprica dolce e si decora con qualche filo di erba cipollina. Si accompagna con crostini di pane caldo.
Liptauer della Gastronomia Ludwig di Trieste
Montate 50 g di burro con un po’ di pasta d’acciughe e paprica piccante e dolce. Aggiungete 50 g di gorgonzola piccante, 50 g di taleggio, 50 g di gorgonzola dolce, 50 g di stracchino e infine 250 g di mascarpone. Spolverate poi sopra paprica dolce.
Lipatauer - Ricetta casalinga goriziana
Montate 100 g di burro con 250 g di ricotta e un cucchiaino di senape. Aggiungete poi 1 cucchiaino di capperi dissalati, una piccola cipolla e un ciuffo di prezzemolo tritati, sale, 2 cucchiaini di paprica dolce, un pizzico di cumino macinato e, volendo, mezza acciuga tritata. A piacere si può usare una parte di paprica dolce e una di piccante ed è molto consigliato aggiungere anche dello stracchino e del gorgonzola, se disponibili. La ricetta descritta è quella di tradizione storica dove al posto della ricotta si usava proprio il formaggio Liptauer originale.
Andando a bere un bicchier di vino bianco ‘Tocai’, scusate dovrei dire ‘Friulano’ perché ora si può chiamare solo così, nelle trattorie e osterie di Gorizia e Trieste, vengono spesso servite anche delle tartine di una crema rosata di formaggio piccante chiamato Liptauer. Questo ‘formaggio’ si trova in vendita anche in tutte le gastronomie delle città e da qualche anno incomincia a far capolino anche in quelle specializzate di Padova. Questo cremoso ‘formaggio’ di colore rosa aranciato non è un vero e proprio formaggio perché in realtà è oggi una profumata miscela di formaggi molli, testimonianza dell’eredità culturale e gastronomica dell’impero Austroungarico nell’Italia dell’estremo Nord est.
Sotto l’Impero asburgico, almeno fino all’inizio del primo conflitto mondiale, il formaggio base del Liptauer era una miscela di pecorini salati a pasta molle, i Brimsen in tedesco, o Bryndza in slovacco. Dopo la coagulazione del latte ovino, la massa veniva pressata in piccoli blocchi e subito mescolata con paprica, cipolla, prezzemolo, senape ed altri ingredienti. La salatura era effettuata a secco e in pasta durante la maturazione, che avveniva in circa due settimane. Il Bryndza è ancora presente in tutto il Centro-Est dell’Europa, anche se le ricette di produzione differiscono da paese a paese. In Romania il termine Brânză o brînză (pronuncia [ˈbrɨnzə]) è il termine generico per ‘formaggio’, e non c’è alcun tipo specifico di formaggio associato. La parola è attestata per la prima volta in Croazia a Ragusa (Dubrovnik) nel 1370. Oggi la parola ‘bryndza’ è usata in diversi paesi della Comunità Europea, tra cui Slovacchia e Polonia, per indicare, in contrasto con il significato generico rumeno, un formaggio di latte ovino a pasta molle e piuttosto sapido, ottenuto sbriciolando formaggi di pecora freschi o stagionati.
La sua origine va ricercata nelle tradizioni pastorali dei Valacchi, una popolazione proveniente dalla Romania, che colonizzò i Carpazi slovacchi tra il XIV e il XVII secolo. I pastori valacchi, transumanti in alpeggio estivo, allevavano una razza ovina locale chiamata valaška, piccola con corna ritorte e vello bianco. Una pecora rustica, adatta al clima rigido e ai pendi impervi dei Carpazi slo26 Gustâ Gurizan Gustâ Gurizan 27 Antipasti Antipasti vacchi, così frugale da nutrirsi in inverno di foglie e aghi di pino. La valaška divide oggi i pascoli con un’altra razza molto resistente, la cigája, riconoscibile per la testa di colore scuro e priva di corna. La storia del bryndza slovacco inizia nel 1787, quando Ján Vagač apre un caseificio a Detva nella Slovacchia centrale. I pastori malgari producevano formaggio di pecora che vendevano a Vagač: questi lo sbriciolava, lo re-impastava e lo faceva stagionare in barili di legno (i gelety) sigillati con uno strato di burro. In questo modo il formaggio si conservava a lungo e poteva essere commercializzato nelle principali città dell’impero austro-ungarico: Vienna, Bratislava, Budapest e Trieste. Preparazioni simili sono oggi presenti sul Carso con il mlét, ma anche in Carnia con il ‘formadi frant’, realizzati con formaggio vaccino stagionato, macinato e mescolato a latte, panna, pepe, ma anche ginepro e erbe. A fine ‘800 in Slovacchia, Teodor Wallo affinò il metodo produttivo e rese il bryndza cremoso, spalmabile e diverso da tutti gli altri bryndza – più asciutti e granulosi – prodotti in Romania, Ucraina, Moldavia, Polonia. Il segreto era l’aggiunta di una soluzione di acqua e sale all’impasto. Secondo il Codex Alimentarius Austriacus (1917), questo formaggio presentava una flora batterica ricca e unica di lactobacilli chiamati Karpathenokokkus, presenti ancora oggi nei bryndza prodotti nei Carpazi slovacchi. Nel 2007 in Polonia il bryndza Podhalańska ha ricevuto la DOP, che è stata assegnata nel 2008 anche allo slovacco Slovenská bryndza. In Ungheria si usa anche il termine Liptói túró, cioè cagliata della città di Liptov.
Il bryndza più dolce e burroso, il più amato dai viennesi ai tempi dell’Impero asburgico, veniva prodotto nella regione slovacca di Liptau (in tedesco), Liptov in slovacco, e da qui l’origine del nome Liptauer (Liptauer Käse, formaggio della città di Liptau).
Una citazione letteraria: ne era ghiotta Christine, la moglie del dottor Andrew protagonista del romanzo La Cittadella di Cronin del 1937. Il Dottor Andrew trova infatti un pacchetto infiocchettato contenente Liptauer sul luogo dell’incidente mortale della moglie.
Come sappiamo la gastronomia è sempre in costante evoluzione e quello che noi oggi chiamiamo ‘tradizionale’ è in realtà la somma di tante piccole innovazioni buone che nel corso degli anni vengono a consolidarsi. Il Lipauer oggi presente nella Venezia Giulia ne è una chiaro esempio: dopo la prima guerra mondiale non c’è più stata la possibilità di approvvigionarsi del bryndza originale ed ecco quindi che per sostituirlo si è ricorsi naturalmente ad altri formaggi per riprodurne il gusto e per perpetuare nelle famiglie la tradizione del piatto. Oggi a Trieste e Gorizia il Liptauer è preparato nelle case o nei negozi di alimentazione solo in prossimità del consumo miscelando aromatizzanti a formaggi locali molli e già maturi: si ricorre a ricotta, stracchino o mascarpone, sicuramente più dolci e meno saporiti, e talvolta anche gorgonzola. In Austria, invece, il Liptauer ha ancora oggi un sapore più deciso e acidulo, essendo preferita comunque una miscela a base di pecorino fresco e Topfen, il Quark tedesco, una specie ricotta più compatta, a grana più grossa e più acidula.
La preparazione del Liptauer a casa prevede che i formaggi di base siano mescolati con burro montato, cipolla o erba cipollina, paprica, senape, capperi e acciughe, con l’aggiunta di Kűmmel, (l’uso di aggiungere Kűmmel, cioè il cumino dei prati, l’officinale carum carvi, sta recentemente venendo meno e molti nuovi ricettari a stampa non lo menzionano più tra gli ingredienti del Liptauer). Non esiste comunque una ricetta originale per questa cremosa e rosea preparazione, ma ci sono varie versioni legate al territorio, alle abitudini ed ai gusti delle famiglie, nonché alla disponibilità degli ingredienti. Il risultato sarà comunque ottimo perché le preparazioni tradizionali hanno una lunga storia e non tradiscono mai.