Nel Settecento comparve finalmente sulla scena dell'erboristeria il grande Linneo, appassionato studioso di piante ed erborista, insegnante all'Università di Uppsala, prefetto del locale Orto Botanico. Tuttavia, neppure i suoi insegnamenti e la cura infinita con cui raccolse e classificò migliaia di piante, andarono esenti dalla tendenza ad associare all'arte del curarsi con le erbe, le fantasie scarsamente scientifiche e la superstizione.
Nelle nostre zone le diverse tradizioni delle etnie presenti, riunite così strettamente arricchirono la cultura popolare ed ufficiale di medicamenti particolari.
Lo studioso Giovanni Manzini nella sua pubblicazione
La medicina popolare nel Goriziano (Studi Goriziani - vol. XXIII - 1958) così parla dei mali che più frequentemente venivano curati:
Innumerevoli sono i mali che, in ogni tempo, hanno afflitto l'umanità, ma il popolo di solito li ha sempre ridotti a poche specie; nel Goriziano le malattie «base» erano ridotte a sole cinque: il riscaldo, il raffreddamento, la «madreza », il «modron » ed i vermi.
Il riscaldo è una malattia dovuta a surriscaldamento interno del corpo per troppo lavoro o per auto-riscaldamento dovuto a cibi pesanti e non bene digeriti. Secondo le credenze popolari infatti i cibi venivano distinti in riscaldanti e rinfrescanti; erano riscaldanti i salumi, le carni di maiale in genere, gli intingoli fatti con pomodoro, cipolla, aglio, peperoni e simili; erano invece rinfrescanti le verdure ed i cibi leggeri.
Tutte le malattie gastro-intestinali entravano nel novero del riscaldo e la cura, non occorre dirlo, veniva fatta coi «rinfrescanti», che erano i purganti, in genere blandi, e con i cibi adatti.
Ranieri M. Cossar nel suo libro
Cara Vecchia Gorizia così parlava della cura rinfrescante, che consisteva nel bere a digiuno un bicchiere dell'acqua che era servito per allessare cicoria selvatica, la ruca comune, la borragine, la camomilla mezzana oppure i turrioni di luppolo, il rusco, la vitalba, le ortiche e gli asparagi selvatici che poi venivano mangiati a colazione, invece del consueto contorno di patate, di broccoli o di cavoli.
Non erano pietanza rara sulla mensa, nello stesso mese, il tarassaco, la valerianella, l'acetosella, il crescione, i cardi selvatici e i raperonzoli, onde il detto goriziano:
«
Radunsèi e rapunsèi
Cùnsin il sanc e nètin i bugèi».
In aprile la benefica pioggia faceva spuntare la erbette che costituivano un ottimo medicamento, di cui i nostri nonni facevano una buona provvista durante i liberi pomeriggi domenicali nelle praterie di Valdirose e nelle boscaglie dell'lsùr, per la cura primaverile depurativa e rinfrescante del sangue.
Dalla produzione editoriale del Centro Tradizioni di Borgo San Rocco |
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