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STORIA E TRADIZIONI > Personalità
 
07-09-2016
autore: Vanni Feresin
EUGENIO VOLANI, SACERDOTE, TESTIMONE, EDUCATORE E MUSICISTA
Frammenti di una scuola goriziana tra ottocento e novecento
Eugenio Volani nacque nel 1872 a Volano (poco distante da Rovereto) e venne a Gorizia ancora da chierico richiesto proprio dal Principe Arcivescovo monsignor Luigi Zorn (1883 – 1897) che aveva bisogno di sacerdoti. Con molti sacrifici e molte privazioni assolse il ginnasio nella sua città natale per passare poi al seminario di Trento, dove scelse la via del sacerdozio. “A Gorizia si distinse subito per la sua viva intelligenza, per la prontezza di spirito, per la facilità di parola e di penna, per amore delle belle arti e in specie per la musica” e continua lo storiografo Camillo Medeot: “per la sua bontà generosa e la sua pietà edificante il caro Volani resterà sempre nei nostri ricordi”. Consacrato nel luglio del 1896 e celebrata la sua prima Messa nel paese natio, venne mandato in cura d’anime ad Aquileia, poi a Cervignano. Nel 1900 fece ritorno a Gorizia per assumere l’incarico di catechista nelle scuole maschili, posto che manterrà fino alla morte, con tanto zelo e tanta passione da accattivarsi la benevolenza e la stima non solo dei suoi scolari, ma anche di tutti i suoi colleghi. Gli anni più intensi li ebbe durante il periodo di insegnamento nella “Scuola Popolare e Civica” di piazza Antonio Rotta, sotto la direzione di Augusto Zurman (insegnante elementare goriziano 1848 – 1924, aveva frequentato l’università a Vienna dove conseguì l’abilitazione per l’insegnamento della matematica e della fisica; prima insegnò nel ginnasio e nell’istituto magistrale, poi fu messo alla direzione del “Civico Collegio Maschile” e della scuola di piazza Rotta e ricevette anche l’incarico di ispettore delle scuole italiane della città e del circondario svolgendo un compito di un’accorta difesa dell’italianità). La scuola di via Rotta, l’edificio fatiscente che la ospitava assieme ad altre abitazioni, e piazza Antonio Rotta oggi non esistono più. Piazza Rotta, all’epoca, corrispondeva al tratto dell’attuale via Crispi che va da via Morelli a via Roma; in un angolo della piazza, accanto al passaggio Edling, sorgeva il vecchio edificio scolastico abbattuto nel 1959 per l’apertura dell’attuale via De Gasperi. La scuola maschile nacque per voto del consiglio comunale nel 1898 e venne insediata in un vecchio fabbricato dello scomparso passaggio Edling, accanto alle cinque classi della scuola popolare, della quale era la naturale continuazione e conclusione della carriera scolastica. Nel primo anno scolastico (1898 – 1899) aveva una sola classe, la sesta, in cui insegnavano il direttore Zurman e il maestro Carlo Rubbia (ispettore scolastico nel primo dopoguerra). Vi affluivano tutti i promossi o, come si diceva a quel tempo, gli assolti della quinta, di età inferiore a 14 anni. L’anno seguente si aprì la settima che venne affidata a Giuseppe Franzot (insegnante elementare goriziano 1872 – 1972, amico di Volani e grande testimone attento dei tragici eventi di quell’inizio di secolo) ma mancavano ancora gli insegnanti di educazione fisica, di scienze e di storia naturale. L’anno del giubileo (1900), alle due classi esistenti si aggiunse l’ottava, per cui si dovette ricorrere a una nuova forza insegnante con il maestro Emilio Jordan, giunto da San Lorenzo di Mossa per l’insegnamento delle scienze naturali. Queste tre classi costituivano allora la prima ed unica scuola maschile per l’assolvimento totale e reale dell’obbligo scolastico in tutta la provincia. La scuola maschile era stata preceduta da quella femminile che aveva la sua sede in via San Giovanni, nell’edificio accanto alla chiesa; venne istituita dal Comune nel 1895.

Seguirono nel 1902 quella delle Suore di Notre Dame e nel 1911 quella delle Madri Orsoline. La scuola femminile ebbe quale prima direttrice Elisa Favetti (1856 – 1938) che la fece affermare rapidamente, attirando le fanciulle delle migliori famiglie della città, della provincia e persino dell’Istria. Scrive il Maestro Franzot “fino al 1900, ad onta della legge fondamentale sull’istruzione pubblica obbligatoria e gratuita dal compiuto 6° anno di età al compiuto 14°, il comune di Gorizia non si distinse soverchiamente per amore e interessamento alla scuola del popolo. Manteneva, è vero, due scuole femminili e tre maschili. Le fanciulle frequentavano la scuola popolare di via Codelli, fondata con il lascito della vedova Elisa Frinta (nacque Barago nel 1841, non partecipò attivamente alla vita della città a causa dei gravi lutti che colpirono la sua famiglia: sola e solitaria dopo la morte del marito e del figlio, si lasciò morire asfissiata dal fumo nel suo appartamento il 13 aprile del 1886; pochi giorni prima del suicidio fece testamento e lasciò ogni suo avere ai giovani goriziani, ragazzi e ragazze, perché venissero istituite una scuola popolare di lingua italiana e una scuola di lavori femminili, oltre a borse di studio per poveri studenti goriziani di nazionalità italiana frequentanti l’università a Vienna). I fanciulli venivano iscritti nelle tre scuole popolari generali: una che prendeva nome dal passaggio Edling o di piazza Antonio Rotta, la seconda in via Baiamonti e la terza in via della Cappella, costruita con la fondazione del filantropo milanese cav. Vitaliano Fumagalli (quello di via Cappella fu il primo edificio scolastico costruito dal Magistrato Civico grazie al lascito Fumagalli e inaugurato nel 1887). Le due scuole femminili funzionavano ottimamente; le tre maschili un po’ meno. Con una popolazione di 3000 unità, i posti a ruolo avrebbero dovuto essere almeno una quarantina, venti per le maschili e altrettanti per le femminili. Ma mentre i posti di ruolo per le femminili erano appunto una ventina, quelli delle scuole maschili si riducevano a cinque: tre nella scuola di Passaggio Edling, uno in quella di via Baiamonti e uno in quella di via della Cappella. I posti vacanti erano occupati da maestri provvisori. La minoranza tedesca aveva una propria scuola popolare mantenuta dallo Schulverein potente sodalizio che aveva lo scopo di diffondere la lingua nelle zone mistilingue. Le famiglie slovene mandavano i fanciulli nelle loro private di via della Croce (Šolski Dom) e di via Bertolini, attuale via Randaccio (Malni Dom). Questa era la poca allegra situazione della scuola primaria maschile”. In questo contesto la fatiscente sede di Passaggio Edling si stava rivelando del tutto insufficiente al crescente sviluppo della città, scrive Volani: “il personale insegnante reclamava la costruzione di un nuovo edificio con la palestra, la sala da disegno, i gabinetti di fisica e di storia naturale, con il riscaldamento centrale e con un acconcia suppellettile moderna”. Anziché l’edificio nuovo, la scuola fu trasferita in una costruzione sita tra viale XXIV Maggio (allora via Tre Re) e l’inizio di via Duca D’Aosta (allora via dei Cipressi), con ingresso su quest’ultima. Questo cambiamento di sede del tutto inatteso e da tutti ritenuto un ostacolo alla realizzazione di un nuovo edificio scolastico, riempì di amarezza l’animo degli insegnati e dei genitori. Ma il Volani continua le sue rimembranze ricordando un aneddoto che avrebbe modificato gli eventi: “una mattina dell’aprile 1909, quando gli alunni schierati per classi si accingevano, col loro insegnante, a salire la scala per riprendere la quotidiana attività, giunse inaspettato un visitatore illustre, il Podestà avv. Francesco Marani. Il primo cittadino di Gorizia volle vedere tutto: le tre aule scalcinate, la suppellettile, la irrazionale disposizione degli ambienti e il limitatissimo spazio riservato alla ricreazione. Non fece commenti, non fece promesse esplicite, ma dalle poche parole che disse nel congedarsi traemmo la persuasione che alla scuola cittadina maschile era assicurata una sorte migliore. Non molto dopo infatti all’ufficio tecnico comunale fu impartito l’ordine di approntare senza indugio e di presentare alla civica amministrazione un progetto dettagliato di un edificio scolastico con otto aule, sale di musica e di disegno, riscaldamento centrale e bagni, da erigersi sul fondo del parco comunale, recentemente acquistato, con l’ingresso principale dalla via dei Cappuccini. Compiute tempestivamente le pratiche per l’approvazione del progetto da parte della Commissione scolastica e del Consiglio Comunale, si diede tosto principio ai lavori che si protrassero tutto l’anno e parte del seguente con ardore e alacrità. Il 15 settembre 1910, trecentoventi fanciulli e quindici insegnanti fecero il loro solenne ingresso nel superbo fabbricato, che prese il nome di Scuola Popolare Generale e Cittadina Maschile e fu intitolata al poeta triestino e friulano Riccardo Pitteri. Fu una festa trionfale quel giorno, non solo per i più direttamente interessati, ma per tutta la città, orgogliosa di questa nuova tappa del suo progresso civile”. Nel volgere di pochi anni una folta schiera di giovani insegnanti trovarono facile collocamento nelle tre scuole maschili e iniziarono l’opera di rinnovamento seguendo i progressi della pedagogia dell’epoca. Egone Clemente, da Gradisca, fu il primo di questi volenterosi, poi Giuseppe Franzot, sempre da Gradisca Piero Visintin e Orlando Toros, Riccardo Jacuzzi da Capodistria, Giuseppe Culot da Lucinico, Emilio Jordan da San Lorenzo di Mossa, Oddone Coos e Severino Gallas da Medea, Angelo e Vittorio Fabris da Terzo d’Aquileia, Ermanno Treleani da Marino, Giuseppe Ceschia da Capriva, Cesare Miceu da Aiello e anche dal Trentino giusero Paride Marini e Massimo Bonomi.

Come scrive l’amico fraterno Giuseppe Franzot “don Eugenio Volani fu apprezzato per il suo ruolo di sacerdote ed educatore in primis da me, suo collega e amico, in secondo luogo e principalmente da tutto il corpo docenti”. Per i suoi manifesti sentimenti di italianità, don Volani era inoltre molto ben voluto dalle autorità scolastiche e dalla cittadinanza. Durante la guerra, a Graz, dove si era rifugiato, svolse l’attività altamente benefica e patriottica a favore dei profughi, in particolare degli studenti. Scrive don Volani durante i durissimi anni di permanenza in Austria (1915 – 1919) “dopo quattr’anni di guerra, di sacrifici e di privazioni d’ogni genere gli animi si erano rinselvatichiti. Ognuno pensava egoisticamente a se stesso. Gorizia, che offriva uno spettacolo impressionante di desolazione con le sue enormi rovine e i suoi disservizi, e nei vari centri del Friuli, i maestri erano occupati a raccogliere e rassettare ciò ch’era rimasto di buono nella generale dispersione, per ricominciare una nuova vita di stenti e di rinunce” e continua “il disorientamento nel campo scolastico era completo. Mancava ogni cosa, anche i pavimenti, nella scuola di via Cappuccini 500 alunni e 15 insegnanti affogavano, si può dire, nella polvere. Le deficienze erano moltissime e le risorse disponibili affatto sufficienti, viviamo nell’incertezza assoluta: quella della pace, quella delle innovazioni nel campo scolastico. Ho solo due parole che rendono chiaro il mio stato d’animo sbandamento e inquietudine”. Ma la conclusione di queste affermazioni ci fa capire molto della sua personalità “ora più che mai ha il sopravvento la nostra fede, il nostro patriottismo e la nostra tradizionale laboriosità, a poco a poco, con l’ausilio di tutti la vita, in ogni suo genere, rifiorirà sia pure stentatamente e fra grandissimi dissensi; anche la scuola saprà conservare ciò che di buono il cessato regime ha lasciato e quanto di saggio la nuova legislazione italiana saprà apportare all’istituzione scolastica”. Anche Giuseppe Franzot nei suoi scritti ci fa toccare con mano la tragicità dell’evento bellico “con la dichiarazione di guerra alla Serbia crollarono tutti i nostri generosi progetti, cessarono tutte le nostre belle attività. La grande organizzazione magistrale si sciolse improvvisamente e avvenne un generale sbandamento: fortunato colui che fece in tempo a varcare la vicina frontiera. Il vecchio imperatore si era graziosamente degnato di ordinare la mobilitazione di tutte le classi, anche delle più anziane. E i cittadini dovettero, loro malgrado, graziosamente piegare il capo e sacrificare libertà e vita per sostenere il crollante impero. Travolto dalla bufera, anch’io passai da una città all’altra da un bivacco all’altro, con tutte le sofferenze e privazioni che sono proprie del nomadismo militare, e con tutte le immoralità e le scostumatezze che dilagavano in una accampamento, al quale convengono uomini di età, lingua e condizioni profondamente diverse. Obbligato al servizio alle armi, dovetti lasciar casa, famiglia e scuola e presentarmi in un esercito che non era il mio, difendere una patria che non era la mia. Fui destinato al fronte e alla fine di ottobre del 1915 giunsi a Sistiana, poi a Padriciano. Ricordo la straordinaria nevicata del 19 novembre, Santa Elisabetta, su tutta la regione carsica. Il 2 febbraio del 1916 il mio battagliane fu trasferito a S. Bartolomeo di Muggia, qualche mese più tardi venni mandato in Stiria per giungere il 7 luglio del 1916 a Zawichost in Polonia. Nell’aprile del 1918, dopo ventuno mesi di ingrato servizio militare in terra polacca, ottenni il congedo e il rimpatrio. Riabbracciati i miei cari a Graz e finalmente indossati di nuovo abiti civili a Lubiana, raggiunsi Gorizia nel maggio successivo e tosto, per incarico del Comune, nella casa sita al n°3 di via Ascoli, organizzai con un centinaio di fanciulli la prima scuola italiana dopo l’allontanamento dal fronte di guerra”.

Don Eugenio Volani utilizzò la maggior parte del suo impegno pastorale ed educativo durante l’esaltante prima parte dell’episcopato di monsignor Franz Borgia Sedej, tra il 1906 e il 1915; in quel momento storico la realtà diocesana appariva caratterizzata da una notevole vitalità, ma la prassi pastorale restava ancorata ad una presenza di tipo istituzionale garantita da un clero organicamente presente sul territorio, nel quale stavano emergendo giovani personalità, tra le quali ricordiamo proprio don Eugenio Volani ma anche Francesco Castelliz (1862 – 1934), rettore del seminario centrale, Pietro Fanin (1872 – 1942) e Vinko Vodopivec (1878 – 1952). In questo periodo esaltante il Principe Arcivescovo Sedej dimostrò un interesse per l’arte e la musica non certo sottovalutabile e trascurabile, infatti fece istituire un regolare corso di storia dell’arte nel seminario centrale, con l’apporto scientifico del Dr. Karl Drexler (1861 – 1922) che pubblicò anche un manuale di arte sacra per i seminari, nonché l’apertura del museo diocesano nel 1912 proprio negli ambienti del nuovo seminario. Anche la musica aveva il suo centro promotore nello stesso Arcivescovo (monsignor Sedej fu anche direttore di coro negli anni giovanili e un grande appassionato della musica sacra e di quella gregoriana in particolare), infatti, il movimento liturgico – musicale chiamato ceciliano, proprio in questo periodo stava dando i suoi frutti migliori anche nella Diocesi di Gorizia con personalità di altissimo livello come Emil Komel (1875 – 1960 compositore e direttore della Corale di Borgo San Rocco, studiò prima a Vienna dove si diplomò brillantemente nel 1895 in composizione, poi si perfezionò con il Santi in canto gregoriano a Roma ed è qui che conobbe sia Pietro Mascagni che monsignor Lorenzo Perosi del quale fu allievo; grazie a questa eccezionale esperienza la corale di San Rocco, della quale fu maestro fino al 1948, poteva contare su un repertorio di innumerevoli Messe e Mottetti composte dal grande Maestro romano, direttore perpetuo della Cappella di San Marco in Venezia prima e poi di quella Sistina in Roma. Tornato a Gorizia insegnò pianoforte e armonia presso il “Pevsko in glasbeno društvo” – Società di canto e musica, il cui coro raggiunse presto grandi risultati. Diresse anche il coro del Seminario Minore, fu organista a Sant’Ignazio e compose musica religiosa per coro e organo nonché musica popolare) con l’animatore musicale, cantore, organista e direttore di numerosi cori cittadini Lojže Bratuž (1902 – 1937), come il popolarissimo sacerdote e compositore Vinko Vodopivec, il grande compositore e direttore del Coro della Cattedrale di Gorizia Augusto Cesare Seghizzi (1873 – 1933) e naturalmente con don Eugenio Volani, promotore dell’educazione musicale, organista, direttore di coro nonché raccoglitore e copista attento e preciso di testi e musiche sacre e profane. Denominatore comune di questa attenzione all’arte in genere era senza dubbio il vivo senso storico dell’Arcivescovo. A riprova di ciò sono la pubblicazione della monumentale opera “Die Katholische Kirche” e una serie di documenti inediti sui vari tentativi di erigere la Principesca Arcidiocesi. Nel panorama della vita diocesana ritroviamo notevoli segni dell’impegno dei cattolici per una presenza specifica nel contesto sociale a diversi livelli. Ricordiamo tra le figure dei catechisti nelle scuole pubbliche: Castelliz nell’istituto magistrale, don Luigi Fogàr nello “Staatsgymnasium” di Gorizia, Rejec nel ginnasio e don Volani nelle scuole elementari. Don Eugenio Volani ebbe anche un rapporto molto affettuoso con il Borgo di San Rocco, infatti, anche grazie all’amicizia che lo legava a mons. Baubela, agli inizi del novecento fu organista e direttore della corale del Borgo insieme a Giuseppe Bisiach, e dalle cronache si evince che “il coro di san Rocco composto da 35 cantori sotto la direzione del M. Rev. Volani e l’istruzione dell’organista signor Bisiach eseguì ottima musica del cittadino sig. Saverio Lasciac nel Santuario di Monte Santo. Le voci ben intonate, precisa l’esecuzione. Il pubblico goriziano è rimasto soddisfattissimo e siccome tutti i componenti della cantoria non ricevono dalla chiesa di san Rocco un centesimo di emolumento è doppiamente lodevole il loro zelo, la devozione e l’amore per la musica sacra.” Non è possibile, quindi, comprendere appieno la forte e decisa personalità di don Eugenio Volani senza tener conto della poliedricità dei suoi interessi: la missione sacerdotale, la naturale propensione all’educare le nuove generazioni, l’amore per la musica e l’arte, nonché l’essere testimone partecipe, vivo e attento dei grandi e gravi eventi che ferirono Gorizia all’inizio del XX secolo. Nel dopoguerra fu colpito dolorosamente dalla morte di un caro fratello e di una nipotina, nonché da quella di mons. Carlo de Baubela, parroco di San Rocco dal 1895 al 1927, cui era legatissimo da un affetto fraterno. In quegli anni don Eugenio Volani ebbe cure speciali per i fanciulli dell’Istituto “Oddone Lenassi”, e già gravemente ammalato continuò nella sue opere di misericordia, come scrive il Franzot: “l’ultima visita prima della morte fu proprio a quei cari fanciulli abbandonati”. Tentò invano di ristabilirsi con un soggiorno a Volano ma poco dopo il male che lo affliggeva ebbe la meglio: era il 1935. Colto, intelligentissimo, appassionato musicista, don Eugenio Volani lasciò una ricca biblioteca di opere varie e una copiosissima raccolta di musica sacra e profana, curata con amore e competenza particolare. Sincero amico e ammiratore del maestro Seghizzi, ne possedeva la raccolta completa delle opere, talune ancora inedite e mai eseguite. Egli stesso organizzò più di una volta, a scopo di beneficenza, concerti e trattenimenti musicali. Scrive il Franzot: “fu collega impareggiabile, indulgente, generoso, con le sue doti e la sua attività onorò altamente la scuola e Gorizia”.
 
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